Si è appena conclusa l’ottava edizione di Culinaria Il gusto dell’identità e anche quest’anno sono state tante le emozioni e le idee che questa fiera enogastronomica tutta romana ha saputo regalare. Eccone alcune.

Quella del 2013 è stata l’edizione dedicata al mercato, inteso come luogo di incontro tra merci e cibi, ma anche come crocevia di culture, tradizioni e sapori. E non a caso la scelta della location è caduta sul mercato coperto della Garbatella, quartiere ricco di storia e romanità.

In una mise en place decisamente più rustica e sobria rispetto ai verdi allestimenti della passata edizione, con pedane, sacchi di juta e cartoni, l’atmosfera della fiera si è voluta allineare perfettamente ai tempi e all’andamento dell’economia. Così come i piatti presentati dai vari chef durante le loro esibizioni nelle Station. Una nuova attenzione per la semplicità e l’accessibilità degli ingredienti, ma senza mai rinunciare al gusto: l’unico lusso che deve essere sempre alla portata di tutti.

Su questa linea di gastronomia low profile ad impressionarci sono stati in particolare tre piatti, preparati da tre chef molto diversi tra loro per curriculum e territorio di provenienza, ma tutti accomunati dalla volontà di valorizzare una materia prima “povera”.

Partiamo da nord, dalla Locanda Margon di Trento, ristorante di rappresentanza delle Cantine Ferrari. Nonostante l’alto tenore del locale, lo chef Alfio Ghezzi ha voluto stupire il pubblico con un piatto d’estrazione dichiaratamente umile, il suo “Trippa e cipolle in terza classe… 100 anni dopo”.

“L’ispirazione per questa ricetta – confessa lo chef – l’ho avuta leggendo un articolo sul ritrovamento dei menù dell’ultima cena servita sul Titanic prima del naufragio. In particolare, mi aveva colpito il menù del pasto destinato ai passeggeri della terza classe, dove comparivano cipolle, trippa e aringhe affumicate”. Da qui, l’idea di un piatto composto da ingredienti poveri e non blasonati – la trippa, le cipolle, il pesce affumicato – dove spetta all’abilità del cuoco nobilitare il valore intrinseco della materia prima.

Ecco il piatto: cuffia di vitello cotta a lungo in fondo di vitello e vino chardonnay e cipolla fondente ripiena di focaccia croccante, pecorino, pinoli tostati e agone del Garda affumicato, serviti con emulsione di salsa di soia, olio del Garda al prezzemolo, acetosa maggiore e pomodorini infornati.

Nobilizzazione del povero anche per l’ormai dichiarato successore di Ezio Santin, Fabio Barbaglini, chef dell’Antica Osteria del Ponte di Cassinetta di Lugagnano (MI), che ha presentato le sue “Animelle dorate in salsa di ostrica e champagne, radici e germogli piccanti”. Un mix di valori e sapori contrastanti, dove la dolcezza di un elemento povero, l’animella, va a incontrare la sapidità di una pregiata salsa di ostriche, il tutto alleggerito dalla freschezza di erbe e radici primaverili.

“La cucina è fatta di elementi – spiega lo chef – ciascuno dei quali ha un proprio gusto e una propria peculiarità che, come tale, deve essere rispettata. Tutti insieme, questi sapori vanno a comporre l’equilibrio finale del piatto, attraverso uno studio a 360 gradi”. Fondamentale, per Fabio, è infatti l’accessibilità di un piatto, che deve essere perfettamente intelligibile dal cliente, sia per quanto riguarda gli ingredienti che lo compongono sia per la modalità di degustazione: “Non amo nomi difficili e presentazioni astruse: la comunicazione di un piatto deve essere semplice e ordinata. L’abilità di un cuoco sta nel comunicare con il cliente apertamente, in modo da stabilire un rapporto basato su fiducia e onestà”.

Per concludere, il giovane e talentuoso Nicola Fossaceca del ristorante Al Metrò di San Salvo Marina (CH) ha stupito tutti gli astanti con un piatto di una semplicità sorprendente ma dai sapori assolutamente innovativi. Il suo “Cicoria e Cicale” è un omaggio al territorio, stretto tra mare e colline, ma soprattutto alle duplici tradizioni contadine e marinare delle sue genti. Due ingredienti poveri, le cicale di mare, il più umile dei crostacei, e la cicoria di campo, si fondono nella dolcezza della salsa di pomodoro, per creare un connubio di dolce e amaro tutt’altro che banale.

“La mia è una cucina dai sapori semplici ma decisi, dove è fondamentale il rispetto per la materia prima e per il suo gusto naturale” spiega Nicola. Sorprendente, infatti, il parco uso che lo chef fa di sale e spezie forti: “Il pesce dell’Adriatico ha una naturale sapidità che io intendo rispettare: per questo quando un cliente mi fa notare che il mio brodetto è poco saporito, gli dico sempre di aspettare la seconda o terza cucchiaiata perché, con un po’ di pazienza e di educazione al gusto, alla fine i sapori arrivano!”.

di Flavia Rendina
foto di Culinaria