Il dogma dell’abbinamento esclusivo tra vino bianco e pesce è ormai superato, non possiamo asserirlo in termini assolutistici, ma certamente i cliché a cui finora la tradizione culinaria ci ha abituati sono in corso di revisione. Il corretto binomio cibo-vino prevede che i due elementi insieme si completino e si esaltino a vicenda, senza che l’uno prevalga sull’altro, specialmente quando da un lato si tratta di pesce: alimento solitamente dalla carne bianca, sapore delicato, da sempre unito in accompagnamento ad un vino da uve a bacca bianca, con o senza bollicine, dalla struttura adeguata. Gli schemi più comuni prevedono ostriche e Champagne, crostacei con vini spumanti, pesce azzurro con vermentini o vini tendenzialmente sapidi e minerali. Arriva puntuale il capovolgimento della teoria? Non è esattamente così, oggi infatti ci si muove con più scioltezza tra le etichette proposte nei ristoranti e i piatti a base di pesce, un po’ perché il nostro palato si è anch’esso “globalizzato” attraverso le influenze culinarie di tutto il mondo, in parte perché si vuole sperimentare sempre di più in cucina per non rimanere appiattiti sulla tradizione. Ostriche e Champagne non sono dunque più in armonia? Nessuna eresia, è assodato che la sapidità dell’ostrica strida con la mineralità e l’effervescenza dello Champagne, creando sensazioni talvolta metalliche.

Ovviamente poi il gusto personale e le caratteristiche peculiari di ogni singolo vino giocano una parte fondamentale. Quando qualche anno fa nei ristoranti nostrani i turisti americani chiedevano l’Amarone con il pesce, il cameriere guardava atterrito e scandalizzato il cliente cercando di dissuaderlo dalla sua scelta sconsiderata. Senza andare troppo lontano, nel sud Italia il vino bianco in passato si beveva appassito o si usava l’uva bianca per “tagliare” altri vini, mentre il rosso si beveva a tutto pasto. La tradizione popolare delle nostre coste ci racconta che i pescatori si concedevano talvolta, a fine giornata, cozze crude, o le meno consumate patelle, o ancora i ricci crudi, sempre con un buon bicchiere di vino rosso. Col passare degli anni, e l’avvento della legge non codificata dei sommelier, questi costumi alimentari sono stati accantonati perché non giudicati appropriati ad una scelta gourmet. Come dire, ciò che il passato ci racconta non è figlio di uno studio o di una logica, ma di una “cattiva” abitudine, o comunque errata, dettata dalle necessità. Oggi sembra che la riscoperta del retaggio contadino non riguardi solo i piatti ma anche certi abbinamenti, perché ci si è resi conto che questi non sono tesi infallibili appunto, ma prove empiriche da fare sul campo, dato che magari dietro un azzardo non è raro scoprire un’unione perfetta. Non è più un tabù infatti se ad una scaloppa di tonno alle erbe oggi si lega un ottimo vino rosso, anche di struttura, l’importante è che esso non abbia tannini amari.

Perfetto potrebbe essere un Nero d’Avola, o un grande Sangiovese di Toscana, dalle caratteristiche eleganti. Questo certamente perché quella del tonno, oltre ad avere un sapore marcato, tipica del pesce azzurro, è considerata la “carne rossa” del mare, alla quale è preferibile non accostare un vino bianco, che non supporta il piatto, sopraffatto dalla persistenza del tonno. E questa non è certo solo un’eccezione: con una zuppa di pesce, caratterizzata dal pomodoro, meglio di un bianco, seppure importante, è sicuramente un rosso giovane, magari servito fresco. Il vino rosso quindi deve essere svincolato da certi assunti che lo vogliono in tavola solo accanto a carne rossa o con preparazioni elaborate. Un tagliolino all’astice macchiato di pomodoro è perfetto insieme ad un rosso morbido e con pochi tannini, provare per credere! E così  per tutte le ricette dove insieme al pesce è presente un guazzetto o trito di erbe aromatiche, come il baccalà al tegame con olive taggiasche e pomodorini, una vera delizia, ad esempio, quando convola a nozze con un vino rosso toscano dal taglio bordolese.

Non dimentichiamo però un vino troppo spesso snobbato nella scelta, il rosato, che invece è un vero jolly in abbinamenti in cui il vino bianco non possiede qualità sufficienti per fare da sponda al piatto, e il vino rosso è troppo importante potendo coprire completamente, con un pizzico di arroganza, il gusto delle pietanze. Tralasciando le mode del momento, in cui food blogger e giornalisti si uniscono a cori petulanti promuovendo vini e pietanze a loro capriccio o vezzo, spesso per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica: quando si parla di unire in modo armonico un vino ad un piatto forse è utile ricordare che non i tratta di un’opera d’arte, né di massimi sistemi, ma di un piacere della vita, che va gustato senza pregiudizi, o troppe regole scaltrite. Libero spazio alla fantasia, quindi, che ci fa scoprire inaspettatamente abbinamenti non solo convincenti ma essenziali.