4 piani, 17.000 mq, 23 luoghi di ristoro, 40 aree didattiche, 8 aule per i corsi, 14.000 prodotti in vendita, 500 collaboratori, 8 luoghi di produzione a vista, 2 sale riunioni e 1 centro congressi: ecco i numeri dell’ultimo nato in casa Eataly, il più grande del mondo, all’Air Terminal Ostiense di Roma, inaugurato il 21 giugno scorso. E per continuare dando i numeri… 28 anni a ottobre, Nicola Farinetti, il principe dell’impero Eataly, secondogenito dei tre figli di Oscar, si racconta e racconta il progetto del nuovo Eataly Roma.

Allora Nicola, come è partito questo nuovo capitolo di Eataly? Ti aspettavi questo successo?
In realtà, sì, perché tutte le aperture che abbiamo fatto finora hanno sempre avuto un successo clamoroso. Con tutto che, secondo me, stavolta abbiamo aperto in un periodo decisamente poco fortunato: è stata la settimana più calda dell’anno, in cui la gente iniziava ad andare al mare, e inoltre un po’ in sordina, perché di nostro abbiamo fatto poca pubblicità, non sapendo fino all’ultimo la data di apertura… quindi devo dire che sì, mi aspettavo un successo, ma forse anche meno eclatante di quello che è arrivato. Del resto noi siamo piemontesi, di quelli che fino all’ultimo se non vedono non credono, teniamo le braccia corte per non scottarci…

Aspettative di fatturato.
Ad ogni apertura di un nuovo negozio, noi di solito facciamo tre budget: uno pessimista, uno ottimista e il cosiddetto Fattore C (che può essere “c..o” oppure “cuore”). Attualmente siamo viaggiando abbondantemente sul fattore C e vorremmo salire ancora! Non temiamo l’estate perché sono dell’idea che questo è un posto diverso dove, a parte i turisti a cui puntiamo tantissimo, la gente verrà per la cena o anche solo per vedere com’è.

Di cosa ti stai occupando all’interno di Eataly Roma?
Come per le altre inaugurazioni che ho seguito, il mio ruolo all’interno del negozio è quello di curare lo start-up. Ovvero, a seconda della competitività del negozio, rimango per un lasso di tempo variabile a seguirne tutti gli aspetti finché “non cammina da solo” e posso dedicarmi ad una nuova apertura. C’ero all’inaugurazione di Torino, ma facevo solo il cameriere perché studiavo ancora; c’ero a Bologna, che è stata la terza apertura ed è quella che ho seguito interamente io per la prima volta, e c’ero a New York, dove sono rimasto per un anno e sei mesi. Adesso sono venuto qua e, visto che sto diventando grande, devo decidere cosa fare nella vita! Il progetto di Eataly ci sta letteralmente esplodendo in mano, quindi ho deciso per ora di dedicarmi solo a questo e ho lasciato l’università: prima studiavo Scienze Politiche ma sono sempre stato un fannullone… diciamo che ho colto al volo l’occasione!

Ho notato che ti dai anche da fare personalmente tra i tavoli, nel servizio della cena…
Per forza! Alla fine noi siamo aperti solo da pochi giorni! Sono tutti convinti che lo siamo da chissà quanto tempo, ma qui è tutto nuovo. Eppoi non pensavo che voi romani mangiaste così tanto fino a tardi tutte le sante sere! È una cosa bellissima però noi – eccetto a New York – non abbiamo nelle nostre mani servizi da 4-5 ore, dobbiamo impararli, e un po’ di fatica la facciamo… Per nostra fortuna, il segreto di Eataly è che la gente ci perdona un po’ tutto: questo perché penso capiscano che ce la mettiamo davvero tutta e che anche l’errore è sempre in buona fede.

Quanto è stata faticosa l’apertura di Eataly Roma?
A dire il vero, molto meno di Bologna, che è stata l’esperienza più impegnativa. Infatti, i negozi più sono piccoli e più sono difficili da gestire. Eataly Roma alla fine è talmente grande che ti trovi a dover delegare per forza. Io qui ho l’ufficio delle risorse umane, l’ufficio stampa, l’ufficio acquisti, i grafici… a Bologna invece facevo tutto da solo.

Come vi siete orientati nella scelta del personale? È stato un compito facile selezionarlo?
Il personale è tutto romano, noi da “casa” avremo portato al massimo tre persone. Tra l’altro è stato abbastanza semplice trovare personale qualificato, perché qui a Roma sopravvivono dei mestieri che in giro per l’Italia quasi non si trovano più, tipo il salumaio, il formaggiaio… Una realtà legata proprio alla conformazione della città, divisa in quartieri e, per ragioni di spazio, proprio impossibilitata ad ospitare il grande supermercato con il mega parcheggio.

Sei soddisfatto della scelta del quartiere Ostiense?
Assolutamente: questo posto è veramente il massimo! La gente è fantastica e sei a un passo da tutto. Una grande mano ce l’ha data anche il nuovo ponte, che ci collega direttamente con via Ostiense e, non appena riusciremo ad indicare bene con la segnaletica stradale il nostro negozio, tutto sarà perfetto.

E le piccole botteghe di quartiere come vi hanno accolto? Avete incontrato problemi o polemiche?
Assolutamente no, e ti dirò di più: sono contenti! Considera che prima di aprire io andavo sempre a prendere il caffè al bar da Marzia proprio qui sotto, i panini per lo staff dal salumiere, e tutti ci accoglievano a braccia aperte, impazienti di sapere quando avremmo aperto. Poi finalmente il grande giorno è arrivato…

Come viene accolta di solito dai negozianti l’apertura di un negozio Eataly?
Lo storico di Torino, dove all’inizio avevamo fatto un po’ di fatica, testimonia un fatto innegabile: ovvero che la presenza di un Eataly in città alza l’asticella della domanda media di qualità. Ti faccio un esempio: ogni giorno sui nostri scaffali noi facciamo vedere la birra Baladin a migliaia di persone che magari non l’avevano mai vista prima; e quindi, la volta che vanno in bottega, che ne so, da Roscioli, la riconoscono e non chiedono più la birra industriale, ma pretendono quella. Magari all’inizio possiamo catalizzare l’attenzione su di noi ma, nel lungo termine, diventiamo un incredibile volano per tutti quelli che lavorano con prodotti di alta qualità, perché estendiamo la soglia d’attenzione alla qualità a 360 gradi: per questo siamo in ottimi rapporti con grandi nomi della gastronomia romana come Roscioli, Bonci, Settembrini, da cui siamo stati accolti veramente con grande entusiasmo.

La differenza tra Eataly Roma e gli altri negozi in Italia.
A parte il fatto che siamo a Roma, e quindi è già di per sé tutto diverso, qui abbiamo molta più produzione: tostiamo il caffè e non l’abbiamo mai fatto, facciamo la mozzarella di bufala in loco, come a Torino, ma qui a botte di 200-300 kg al giorno; facciamo pure molta più didattica, con ben 8 aule (a Torino sono 3) e, inoltre, abbiamo delegato la cucina ad altri, i cosiddetti “Migliori”. Questo è un discorso assolutamente inedito e che riguarda solo Roma, perché di solito tendiamo a fare tutto da noi, ad eccezione dell’ortofrutta, che esternalizziamo sempre perché richiede un lavoro del tutto particolare.

Come sono stati selezionati “i migliori”?
Diciamo che in questi 5 anni di Eataly abbiamo avuto modo di conoscere una marea di persone e molti di loro ci hanno fatto innamorare del loro modo di lavorare. Normalmente cerchiamo di “copiare” il lavoro di chi lo fa bene e riproporlo nei nostri negozi, ma qui a Roma, non potendo seguire tutto e volendo fare cose diverse, abbiamo scelto di affidarci a professionisti di fiducia: Pasquale Torrente, ad esempio, è innanzitutto un amico, con cui abbiamo avuto modo di lavorare diverse volte e, siccome lo reputiamo un genio, abbiamo deciso di affidare a lui i fritti; “Ino” ci fa i panini; i fratelli Maioli da Cervia ci fanno le piadine: tutte cose in cui noi siamo mediamente deboli e che abbiamo scelto di affidare a chi ce le fa certamente meglio. A livello di investimento, loro non hanno alcun tipo di vincolo, ci riservano solo una percentuale prepattuita dei loro incassi. Una collaborazione che spero possa andare avanti il più a lungo possibile, perché vuol dire che le cose vanno bene per tutti.

E “la trattoria romana”?
Le trattorie romane, in rotazione, sono state scelte con lo stesso criterio dei migliori: abbiamo avuto modo di conoscerle e ne siamo rimasti affascinati. L’occasione è stata l’anno scorso a Fontanafredda, dove abbiamo organizzato, per i 150 anni d’Italia, un programma di 52 settimane con 52 ristoranti di cucina popolare. Da Roma sono venute a cucinare proprio queste tre trattorie romane: Anna Dente, i fratelli Cacciani e L’Oste della Bonora. Ci siamo innamorati ed è nata questa collaborazione. Loro resteranno con noi più o meno per tre mesi, dopodiché ci metteremo a tavolino per valutare se per entrambi è conveniente ripetere l’esperienza… Il discorso è molto aperto, essendo una situazione nuova per tutti, soprattutto per loro che non sono abituati a fare questo numero di coperti.

A proposito di grandi numeri, i ristoratori non sono spaventati dal non riuscire a mantenere gli stessi standard qualitativi dei propri locali?
Il rischio della perdita di qualità c’è nella misura in cui loro non capiscono subito che qui a Eataly devono fare un altro tipo di lavoro rispetto a quello che fanno a casa propria. Quindi, se entrano nell’ottica di un pubblico molto più ampio e variegato, riducendo la varietà dei piatti e limitandosi magari a tre a giorno, oltre ad avere il cliente contento, anche loro riescono a lavorare bene.

Dove reperiscono i loro prodotti?
Un po’ se li portano da casa, un po’ li prendono qui a Eataly. La mattina, ad esempio, è bellissimo vedere gli chef girare tra i banchi del mercato e scegliere questo o quell’altro pomodoro, formaggio, pesce e così via, e farsi venire idee per i menù della sera.

Si gioca in casa, quindi, a vantaggio del cliente per quanto riguarda la freschezza e il prezzo dei piatti…
Assolutamente sì ed è proprio questo il grande segreto del format di Eataly: tutto quello che non vendo lo cucino. Ad esempio, il pesce che compri qui è sicuramente sempre fresco perché l’invenduto viene cucinato il giorno dopo ( quando, tra l’altro, è anche più buono perché ha frollato per una giornata). In questo modo non c’è spreco, i costi rimangono contenuti e tutti sono contenti. Del resto, se sprecassimo in un posto come questo che fa 5.000 coperti al giorno, faremmo veramente un danno all’umanità!

L’altro segreto del successo di Eataly è senza dubbio l’onestà dei prezzi: come fate a mantenerli così contenuti?
È semplice: noi ci focalizziamo sulla qualità del prodotto e non sul “contorno”. Eataly è un posto informale, di facile fruibilità, ma inevitabilmente incasinato: è come un grande mercato, dove il cliente deve autogestirsi e imparare a muoversi in una sorta di anarchia controllata. Ecco, noi vogliamo che la gente che viene qui capisca questo tipo di discorso, che goda di questo clima euforico e si concentri solo su quello che c’è nel piatto e non su quello che c’è intorno. Ovviamente, da parte nostra ci impegniamo ad essere sempre sorridenti, gentili ed educati, ma questa informalità di fondo ci permette di offrire, ad esempio, una tra le migliori pizze della città, fatta solo con prodotti di prima qualità come la farina del mulino Marino e la mozzarella di Battaglia, a soli 6,50 euro… Un vero successo, in un momento storico in cui la ristorazione sta facendo un po’ ovunque dei buchi nell’acqua e sono in pochi a guadagnare con il cibo.

A proposito di ristorazione: parlaci del Ristorante Italia all’ultimo piano e del suo chef.
Il ristorante Italia è il nostro ristorante di alta cucina ma facile da capire, dove si può assaggiare un mix di piatti da tutte le regioni d’Italia. Lo chef è Gianluca Esposito, ventinove anni e bolognese di nascita, per due anni lo chef di Eataly Bologna. Avevamo bisogno di qualcuno di fiducia e la scelta è ricaduta su di lui che ha fatto davvero grandi numeri a Bologna, nonostante disponesse di una cucina davvero piccolissima. Da quando abbiamo aperto, il ristorante è sempre pieno! Una cosa che penso sia possibile solo a Roma, l’unica città dove un ristorante di alto livello riesce ad essere sempre al completo, basti pensare a La Pergola, a Filippo La Mantia, all’Assunta Madre…

Parlaci del rapporto tra Eataly e Slow food: è lo stesso per tutti gli Eataly?
Slow Food è per noi un partner tecnico, un consulente. Quando noi apriamo un Eataly, andiamo alla ricerca di un 30-35% di referenze alimentari del territorio che ci ospita da inserire in negozio: un’operazione che un’azienda normale impiegherebbe tre anni a terminare; invece noi ci mettiamo sei mesi, perché ci avvaliamo della consulenza di Slow Food che conosce già i produttori e sa chi segnalarci. Questo tipo di collaborazione si replica in tutti gli Eataly, ma è ovviamente molto più forte in Italia che altrove all’estero, dove Slow Food si trova a fare un lavoro completamente diverso. Se in Italia deve lottare per salvaguardare i piccoli produttori e i loro prodotti di nicchia di cui si sta perdendo memoria, negli USA, ad esempio, Slow Food si occupa di educazione alimentare, di salute, temi ben più importanti che in Italia per fortuna non abbiamo bisogno di trattare.

Eataly in Italia vs Eataly all’estero: quali altre differenze?
Negli Eataly italiani, il 95% dei prodotti sono nostrani e il 5% stranieri, come Champagne francesi, prosciutti spagnoli, ostriche bretoni e via dicendo; all’estero, invece, la vendita è per il 99,9% di prodotti italiani, che ci impegniamo ad importare nei limiti del possibile. Ogni tanto ci prendiamo persino la libertà di far arrivare qualche chicca italiana, come ad esempio l’asparago di Albenga, ma non abbiamo, ad esempio, nulla di francese ed è una cosa di cui andiamo molto fieri.

Quindi non siete vincolati al concetto di Km zero e di territorio a tutti i costi?
Noi abbiamo attenzione per tante cose, ma ci sono prodotti unici, fatti solo in talune zone dell’Italia, che sarebbe un peccato non poter gustare solo una volta ogni tanto. Il Km zero è certamente una cosa lodevole, ma assolutamente riduttiva: se mangiassimo, o vivessimo, solo a Km zero non ci saremmo potuti evolvere, non ci sarebbe varietà… Quindi, giustissimo il concetto di biodiversità, giustissimo valorizzare il territorio e sarebbe bello che diventasse una piccola parte della nostra vita e del nostro divertimento, ma senza esagerare. Una politica che alla fine ben si concilia anche con quella di Slow Food: basti pensare all’esempio di Terra Madre, dove si ritrovano insieme a Torino centinaia di piccoli produttori da tutta Italia e dal mondo, che vengono lì per raccontare la propria storia, farsi conoscere e quindi impedire che certe produzioni vengano dimenticate.

Come viene vissuta all’estero l’apertura di un negozio Eataly?
Per farti capire il tipo di impatto che ha un Eataly sul territorio, ti racconto quello che è successo a New York. Nel New Jersey, accanto al nostro negozio, c’era un mulino che faceva 8 kg di farina al giorno di alta qualità. Siccome ci piaceva il suo modo di lavorare, gli abbiamo chiesto la fornitura necessaria per il nostro negozio. Sulle prime lui si è spaventato, vista la mole di produzione richiesta, ma noi gli abbiamo detto di non preoccuparsi e abbiamo fatto in modo che potesse riuscirci. Così, abbiamo fermato tutti i terreni agricoli della zona, pagando in anticipo gli agricoltori e chiedendo di coltivare il nostro grano; abbiamo fatto comprare a lui una pietra nuova e un altro mulino e lui ha iniziato a sfornarci farina in grandi numeri. All’inizio è stato necessario miscelare con un 30% di farina industriale, ma adesso siamo totalmente autonomi e tutti gli anni ci incontriamo per fare il piano dei consumi, calcoliamo gli acri di terra necessari per coltivarlo e gli paghiamo in anticipo l’80% dei costi.

L’esperienza di New York è probabilmente quella che ti è rimasta più nel cuore: come mai?
New York mi ha dato grandissime soddisfazioni perché ha avuto sin da subito un successo di pubblico enorme, diventando il terzo luogo più visitato della città. La cosa più bella è stata per me veder passeggiare insieme nel weekend newyorkesi e turisti da ogni parte del mondo! Un sogno che mi piacerebbe moltissimo realizzare anche qui a Roma: vorrei che il turista tipo vada al Colosseo, ai Musei Vaticani e poi venga qua, a visitare Eataly Roma!

Infine, ci descrivi il rapporto con tuo padre? (lo chiama Oscar! NDR)
Abbiamo un rapporto ottimo. In realtà ci vediamo pochissimo, solo quando apriamo i negozi e solo per un paio di mesi, poiché facciamo due lavori diversi. Lui a tutti dice che noi figli – mio fratello più grande, che è il capo di tutto, e mio fratello più piccolo, che invece si occupa della parte vino, insieme ai nostri 45 soci – siamo liberi di fare tutto quello che vogliamo, che siamo autonomi, ma in realtà è lui a fare già tutto prima… Noi abbiamo appena il tempo di riprenderci dall’ultimo progetto sul quale ci ha messo su, che lui sta già lavorando ad un altro. Insomma, il tempo che noi pensiamo di farne uno nuovo, lui sta già tre passi avanti a noi!

di Flavia Rendina (Pubblicato su AROMA Settembre/Ottobre 2012)