La raffinata arte del ricevere raccontata dal F&B Manager del Vivendo, prestigioso ristorante del St. Regis Grand, punto di riferimento fondamentale e simbolo dell’eccellenza del servizio a Roma e in Italia.

Quali sono i trucchi del mestiere ed i requisiti indispensabili per garantire un servizio d’eccellenza?
Un servizio d’eccellenza lo si presta quando l’ospite, al termine della sua visita al ristorante, ha il piacevole ricordo di aver trascorso una serata unica, speciale. Non ci sono trucchi particolari, il personale di sala deve sapersi districare nel suo compito concentrandosi sulla figura del cliente e le sue aspettative. Pur non esistendo standard fissi e rigidi, è vitale lasciare spazio all’iniziativa dei singoli collaboratori, qualora ritengano necessario uscire dai “binari”. Spiego meglio il concetto: le regole del servizio sono necessarie in qualsiasi struttura alberghiera o ristorativa di un certo livello. Esse devono essere estese per iscritto, condivise con il personale ed attuate correttamente. Il loro rispetto crea armonia nelle procedure e nei movimenti, sicurezza nei compiti dei singoli ruoli ed è garanzia di ottimi traguardi. Al fine però di evitare di diventare troppo formali ed impettiti si deve dare fiducia allo staff offrendo l’opportunità di “personalizzare” il servizio, sempre entro i confini del bon ton e savoir faire. Questo obiettivo sul posto di lavoro può dirsi raggiunto quando l’intera brigata di sala è seguita, supportata e motivata.

E la psicologia è davvero così importante nella gestione della sala?
La psicologia gioca un ruolo fondamentale come accade in tutti i lavori in cui ci si trova a gestire un insieme di persone diverse tra loro. Il compito è reso più facile se il gruppo è coeso dalla conoscenza approfondita del mestiere. Questo è regolato anche da canoni comportamentali che intervengono nei rapporti all’interno della brigata stessa. La psicologia, o meglio l’empatia, permette quindi di stabilire un approccio positivo con ogni singolo collaboratore, “estraendo” il meglio da lui in termini di prestazioni. Il capo servizio deve essere quindi in grado di cogliere tutte le sfumature e renderle utili e funzionali al proprio ambiente di lavoro. Le risorse umane sono l’aspetto più difficile del nostro settore, ma anche il più importante e redditizio, se gestito al meglio. Il nostro è un business basato sul servizio ed il servizio fa sempre più la differenza. Basti pensare che anni fa, nelle grandi compagnie, i direttori di albergo provenivano quasi tutti dal campo della finanza, nella convinzione che per aumentare i profitti e l’efficacia di una struttura alberghiera servissero figure avvezze a lavorare con i numeri. I direttori di oggi, invece, provengono dall’ambito delle Human Resources, avendo stabilito che i numeri non sono abbastanza, se non supportati dalla risorsa principale: il capitale umano.

Ci racconta brevemente le tappe essenziali del suo percorso professionale?
Ho avuto la fortuna di esordire sotto la guida di importanti figure chiamate Grandi Maestri della Ristorazione. Essi, a partire dal professore della scuola alberghiera per arrivare al Restaurant Manager del Savoy di Londra, avevano a cuore la crescita professionale dei propri dipendenti ed insegnavano, oltre al mestiere, anche l’importanza di “costruire” un curriculum vitae di tutto rispetto, inteso come percorso lavorativo in grado di dare una chiara lettura di garanzia, non solo professionale ma anche etica. Era importante lavorare nei migliori alberghi d’Europa ed imparare bene le lingue, cambiare spesso Paese per conoscere abitudini e professionisti della ristorazione che non avessero ritrosie ad insegnarti la loro arte. Ricordo ancora il Sommelier francese che presso il Palace Hotel di Gstaadt mi portò alla scoperta del mondo dell’enologia, per poi sfociare in una delle mie esperienze più belle come Sommelier al Louis C. Jacob di Amburgo. Tra le tappe essenziali della mia carriera troviamo poi l’esclusivo club londinese di Mosimann’s, oltre al famoso Nassauer Hof di Wiesbaden per non dimenticare La Reserve de Beaulieu sulla Costa Azzurra. Tra i premi conseguiti certamente il “Food and Service Award” in Inghilterra all’età di 23 anni, il “President Award” Starwood del 2007 ed il recente “Attestato di Eccellenza” alla carriera della Scuola Alberghiera di Montecatini Terme.

In quale misura a suo avviso il servizio contribuisce alla riuscita di un’esperienza gastronomica?
È ovvio che la qualità della cucina è fondamentale per il successo di un locale ed il servizio deve valorizzare ed impreziosire il lavoro dello Chef. É anche vero però che l’intera esperienza gastronomica è composta da un insieme di fattori come ambiente, luci, musica di sottofondo ed armonia della tavola. Quindi il ricordo del cliente sarà composto per l’80% da emozioni e solo il 20% dai fatti. Ecco dove il servizio può influenzare l’opinione del cliente ancora più della performance gastronomica. La chiave fondamentale di tutto ciò è, dal mio punto di vista, mettere il cliente a proprio completo agio attraverso un’accoglienza che induca un senso di serietà professionale e calore umano, in grado di lasciare un ricordo memorabile nell’ospite.

In un’intervista lei afferma che “oggi le regole non sono più ingessate come un tempo, chi va al ristorante ha voglia di ambienti meno formali”. Possiamo approfondire insieme quest’aspetto?
Innanzitutto vorrei chiarire che ambienti meno formali non vuol dire meno etici o professionali, bensì più al passo con i tempi che mutano. A fianco di ciò che una volta veniva considerato un servizio “impeccabile”, dove però a farla da padrone erano la distanza, l’austerità e la freddezza dei collaboratori di sala, oggi il cliente cerca più flessibilità, semplicità e soprattutto contatto. Interagire e comunicare con l’ospite dovrebbe essere il primo requisito richiesto al personale di sala. Se vogliamo che la clientela ci apprezzi e condivida la nostra filosofia dobbiamo essere in grado di comunicarglielo, attraverso le azioni ma anche tramite la comunicazione diretta. Story telling, parlare di noi, descrivere le esperienze e lo stile di cucina dello Chef, la storia dell’albergo oppure raccontare cenni storici della città. Il cliente vuole sapere, condividere, conoscere. Il servizio oggi si è evoluto e non basta più essere precisi e competenti, si deve dimostrare genuino interesse verso i clienti ed interpretare le loro alte aspettative.

Quali sono gli equilibri gerarchici all’interno di un ristorante? Ed i rapporti con lo Chef?
La gerarchia all’interno di un ristorante è ancora molto radicata e necessaria, soprattutto in cucina. Necessaria perché ogni elemento ha il proprio ruolo ben definito, nel momento di massimo impegno tutti si muovono all’unisono persino in assenza di comunicazione, grazie ad una rigida organizzazione dei compiti da svolgere. Oggi, però, il capo servizio deve essere capace, dove ve ne siano le condizioni, di elevare la brigata di sala alla possibilità di svolgere qualsiasi mansione fuori dagli schemi stabiliti, permettendo al personale di apprendere e sviluppare nuove capacità tecniche, acquisire maggior confidenza e persino di sbagliare. Solo così avremo un team di collaboratori fortemente motivati e sempre disponibili. Il capo servizio non è solo colui che comanda o gestisce il lavoro, che scrive i turni o addirittura incute timore. Tutto questo appartiene al passato. Oggi il capo servizio deve essere un leader, lavorare per dare il primo esempio, deve convincere perché in lui si crede. Se inizi a camminare e gli altri ti seguono allora sei un leader, ma se nessuno ti viene dietro vuol dire che sei solo qualcuno che si sta facendo una passeggiata. I rapporti con gli Chef non sono sempre facili, occorre tenere in considerazione che si tratta in sostanza di artisti e gli artisti, si sa, sono molto “colorati” (è un complimento, non certo una critica, beninteso!) A questo riguardo sono fermamente persuaso che il Maitre abbia il compito di allinearsi alla figura dello Chef per tradurre la sua arte in una formula di comunicazione e creare armonia tra i reparti, allo scopo comune di ottenere i massimi risultati. Personalmente sono molto fiero di come alcuni rapporti di collaborazione con vari Chef di cucina si siano, fuori dall’ambito lavorativo, trasformati in una vera e propria amicizia, dando dimostrazione di come il rispetto per la professione reciproca possa evolvere e crescere.

Quanto conta la presentazione nella valorizzazione di un piatto?
La presentazione di un piatto inizia già dal menù. Un piatto elencato à la carte non deve solo riportare il nome della pietanza ed un breve elenco dei suoi ingredienti, bensì deve essere descritto in modo da renderlo curioso, attraente e stimolante agli occhi dei nostri ospiti. La presentazione continua poi con la descrizione che ne viene fatta dal personale di servizio. Oltre ad una buona conoscenza tecnica del menù e degli ingredienti è primario avere una forte liaison con lo Chef per conoscere il suo stile ed il tocco che le sue mani sanno apportare ai piatti. Infine la presentazione della pietanza stessa. L’”impiattamento” è altrettanto importante dell’esecuzione della ricetta. Per uno Chef diventa uno stile, riconoscibile come una firma. La soddisfazione del cliente si raggiunge attraverso tutti i sensi ed anche l’occhio vuole la sua parte. La presentazione nel piatto anticipa il gusto che andremo a scoprire e diventa quindi un messaggio chiaro ed integrante dell’esperienza culinaria. Ultimamente vanno di moda le “cucine a vista” dove l’ospite può “spiare” il lavoro degli addetti e anche gli Chef sempre più spesso usano uscire in sala per raccogliere le impressioni degli ospiti o spiegare personalmente i piatti.

Questo non crea una sovrapposizione col lavoro del Maitre e del suo staff?
Tutt’altro. Ben venga lo Chef in sala a salutare gli ospiti. Il punto fermo è che non esistono antagonismi tra i ruoli. Entrambi, lo Chef ed il Maitre, lavorano per il raggiungimento di un fine comune. I clienti apprezzano la visita dello Chef che spesso, grazie alla sua apparizione, lascia un segno indelebile nella memoria dell’ospite. Naturalmente il tutto deve essere gestito nella buona norma della collaborazione e del rispetto per entrambe le professioni.
Io, ad esempio (cuoco per passione tra le mura di casa) dopo 23 anni di lavoro a contatto con la clientela mi trovo a dare consigli allo Chef sulla compilazione del menù e la sua impaginazione. Altrettanto, però, sarei ben lieto che uno Chef, appassionato di enologia, si trovi a consigliare l’abbinamento di un vino alle ricette della sua carta. Tutto questo rimane comunque possibile laddove si abbiano le basi di una perfetta intesa, come descritto in precedenza.

Quale suggerimento si sente di dare ad un giovane che voglia intraprendere questa carriera? E come mai ancora oggi, malgrado la richiesta crescente del mercato, risulta difficile trovare seri professionisti del settore?
Trovo che le due domande siano strettamente collegate. Seri professionisti ne esistono ancora ma molto spesso intrappolati nella rete di grandi compagnie dove non sempre è possibile completare la propria crescita in modo manageriale. Difatti spesso la professione di sala viene solo riconosciuta come una forma di capacità tecnico-pratica ma non direttiva, per cui si sovrappone quasi sempre un direttore al completamento di quella parte economica e di gestione che frena lo sviluppo dell’operatore di sala. Io sono fermamente convinto nell’evoluzione della figura di Maitre di sala in un F&B operativo. Ovvero dove le mansioni manageriali, comprese quelle di gestione e finanziarie, saranno ricoperte dalla stessa persona addetta al servizio. Il manager Food & Beverage andrà presto a scomparire, convergendo il proprio ruolo verso la direzione dell’hotel in generale. La recente crisi ha già dimostrato che due figure complementari e così vicine nel ramo della ristorazione non possono più coesistere, e solo chi è a conoscenza di un mestiere professionale potrà assorbire l’altro ruolo, con la dovuta preparazione. Ad un giovane oggi consiglierei di intraprendere questa professione solo ad alti livelli, concentrando la propria crescita in aziende importanti e cercando di viaggiare e vedere più realtà possibili. Esperienze internazionali aiutano a capire futuri traguardi grazie ad una apertura e confronto con l’esterno ed altre culture.

www.starwood.com

di Manuela Monteforte
(pubblicato su Aroma di settembre/ottobre 2010)