Intervista immaginaria con “Il re dei cuochi e il cuoco dei re”

20 giugno 1919. Mi trovo in una bellissima villa a Montecarlo per intervistare Georges Auguste Escoffier che la stampa mondiale definisce “Il re dei cuochi e il cuoco dei re”. Sono arrivato a destinazione con la macchina del tempo noleggiata  per l’occasione speciale dalla produzione del film “Back to the future”. E’ stato un viaggio veramente fantastico, ora eccomi qui all’appuntamento con il grande chef, in splendida forma.

Bonjour Monsieur Escoffier, ci racconta un po’ della sua vita?

Mais bien sûr…
Mi chiamo Georges Auguste Escoffier, sono nato a Villeneuve-Loubet il 28 ottobre 1846, da adolescente trovo lavoro prima come lavapiatti e poi come aiutocuoco nel ristorante di mio zio materno a Nizza. A diciannove anni mi trasferisco a Parigi e vado a lavorare al ristorante Petit Moulin Rouge, un’esperienza importante per il mio futuro, durante la quale apprendo tanti trucchi del mestiere. Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana, sono nominato responsabile cuoco al Quartier Generale dell’Armata del Reno, al termine del conflitto ritorno a Parigi e mi ritrovo nuovamente al Petit Moulin Rouge, ma questa volta come capocuoco. Nel 1876 apro a Cannes il mio primo ristorante, Le Faisan Doré. Negli anni Ottanta conosco e divento amico di César Ritz. Nel 1889 andiamo a lavorare, César come direttore ed io come chef, all’Hotel Savoy di Parigi, è una esperienza indimenticabile, restiamo fino al 1897 poi Ritz è allontanato per presunte “mazzette”, apre il suo primo albergo l’Hotel Ritz di Parigi, come non seguirlo in questa nuova avventura? Sono degli anni stupendi, in poco tempo inaugura un nuovo albergo a Londra e a Madrid, la nostra fama è a livello mondiale, negli hotel Ritz alloggia tutta l’alta aristocrazia mondiale, re e principi. Sono riconoscente a César, grazie anche a lui sono diventato non solo il più famoso chef della cucina francese nel mondo ma anche un organizzatore (manager direste voi) di servizi di ristorazione. Ahimé la nostra collaborazione dura fino al 1907, anno in cui Ritz è costretto a ritirarsi per problemi di salute, muore con mio grande dispiacere nel 1918. Grazie alla mia passione per la scrittura e all’esperienza accumulata nel tempo, scrivo varie opere tra cui Le Guide Culinaire e Ma Cuisine. Fra un anno (1920) sarò decorato della Legione d’Onore e nominato ufficiale nel 1928. Mi dicono che morirò all’età di ottantanove anni, il 12 febbraio 1935, questa è la mia vita ma sono a sua disposizione per altre domande.

Con i suoi libri cosa ha voluto lasciare al mondo della cucina?
Non sempre si riesce negli intenti, ho cercato di dare con i miei scritti una visione professionale della cucina, utilizzando per la prima volta in Francia non solo una terminologia culinaria ma anche una specifica per gli alimenti e l’alimentazione. Il libro Le Guide Culinarie (1903) forse può risultare superficiale e non specifico infatti in quasi tutte le ricette mancano le dosi, le esatte indicazioni sul “come eseguire” e “sui tempi di cottura”. Persino la mia ricetta più famosa, quella della “Pesca Melba”, dedicata al mio grande amore, la cantante Nellie Melba, è racchiusa in venticinque parole. Ritengo che l’opera che ho scritto debba considerarsi come un “promemoria per l’attività in cucina”. Il vostro gastronomo/cuoco Carnacina dirà di me che, pur non avendo titoli di studio e partendo da un paesino, sono riuscito a crearmi una cultura, parlare sempre con competenza “di una pera, un asparago, di qualsiasi qualità di carne, di cui conosco minutamente ogni particolare anatomico, fisiologico, strutturale e nutritivo”. La mia pubblicazione rimarrà valida nel suo complesso, ma la naturale evoluzione del gusto e i nuovi orientamenti dietetici renderanno improponibili le mie ricette per troppa abbondanza di calorie e difficoltà di digestione. Questo mi era stato vaticinato da una specie di oracolo qualche tempo fa, e puntualmente la profezia si è avverata. Parlando di Ma Cuisine, che uscirà nel 1935, si tratta di un libro di ricette per le casalinghe, ma è stato uno sbaglio editoriale, io non sono mai stato portato per la cucina di casa perché ho sempre cucinato nei grandi alberghi. Il mio mondo è un altro; un tentativo fallito di ricettario per la massaia che appartiene alla fascia del ceto medio, fedele al bollito misto domenicale o alla pastasciutta in Italia.

Lei è stato definito come il cuoco che ha cambiato la cucina in questi ultimi trent’anni, in che maniera pensa di esserci riuscito?
Mon ami, ho avuto la fortuna, come le ho già detto, di aver lavorato nei migliori alberghi al mondo. La filosofia è stata quella di promuovere la cucina francese, soprattutto con prodotti tipici e sapori non artefatti. Ho modernizzato la cucina eliminando i contorni ingombranti e sostituendoli con verdure cucinate semplicemente; il cibo deve essere quello che sembra con ingredienti di prim’ordine e di stagione. Mica si sono inventati niente gli chef dei vostri giorni, cosa credete? Ho riorganizzato il menù “alla carta”, così come lo intendete voi, con la descrizione delle portate: antipasti primi secondi ecc. e soprattutto ho introdotto una nuova gestione del lavoro basata su una ripartizione più accurata e preparata delle competenze, con una divisione dei compiti nella brigata di cucina. Ho preteso un servizio rapido e una cucina priva di fronzoli, perché erano cambiati i ritmi della vita quotidiana e anche la cucina doveva adeguarsi. Ho codificato le ricette britanniche, a cominciare dalle salse, preparazioni russe, spagnole, mediorientali e persino indiane. Per noi francesi Parigi ha rappresentato sempre la “centralità”, mentre voi in Italia non avete mai avuto una capitale della cucina, ma solo aree geografiche.
Non voglio passare per sciovinista ma solo noi abbiamo avuto la forza di stravolgere i piatti di altri Paesi, la vera cucina siamo noi e le altre sono solo cucine etniche (NB Monsieur Escoffier si esprime in toni forse forti ma in linea con il pensiero un po’ tranchant che hanno talvolta i francesi).

Il suo successo tra i fornelli da cosa è dipeso? Che cosa ha reso il sapore dei suoi piatti così inconfondibile?
Forse un’intuizione culinaria: dopo aver cotto la carne in un tegame rovente, la tolgo dal fuoco e la lascio riposare, mentre la padella sporca, piena di delizioso grasso, è deglassata. La deglassatura è il segreto del mio successo. Un pezzo di carne è cotto a fuoco vivo, così da ottenere una crosticina (reazione di Maillard) ben abbrustolita, cioè aminoacidi che caramellano e si amalgamano, poi in ultimo si aggiunge un liquido, per esempio un brodo di vitello. Dicono che sono l’inventore del fondo bruno (un’espressione di orgoglio percorre il suo volto). Ho appreso con gli anni che le salse rappresentano il nucleo tolemaico della cucina, sono loro che hanno creato e mantengono la particolarità della cucina francese. Non m’interesso di tecniche e di scienza gastronomica, mi sono sempre affidato alla mia sensibilità e creatività. Con l’esperienza ho capito che anche l’odore è strategico, i piatti li ho serviti sempre caldi e fumanti in modo che le molecole (dico bene?) volatili dei cibi giungessero al naso, anticipando il piacere dell’olfatto a quello del gusto. La lingua non ha il monopolio nel mondo del piacere, ha bisogno della collaborazione del naso che, a sua volta, non essendo molto intelligente, si fa ingannare dalla situazione.

Che differenza trova fra la sua cucina e quella che nel 1960 è denominata la nouvelle cusine?
La mia è una cucina classica, ho fatto conoscere la cucina francese attraverso le salse, le marinature, le lunghe preparazioni e ricette sfarzose rivolte all’alta società. Invece, da quanto mi risulta, nella nouvelle cusine le cotture sono state alleggerite, al bando le marinature e le frollature. Ricerca di una cucina dietetica e povera di grassi, con salse più leggere e digeribili, introduzione di ingredienti mai utilizzati e sperimentati per nuovi accostamenti. Una cucina asfittica e priva di nerbo, ecco quella che piace a voi presunti gourmet del duemila (o foodies, come mi pare dicano da voi i più snob)…Auguste_Escoffier_book

Monsiuer Escoffier, proviamo a leggere nel futuro: cosa pensa della cucina dello spagnolo Ferran Adrià? E’ possibile confrontarla con la sua?
Bravo e simpatico Ferran Adrià, è uno dei migliori chef al mondo, anche lui ha iniziato da lavapiatti e ha ottenuto uno strepitoso successo con il ristorante El Bulli. Adrià è spesso associato alla gastronomia molecolare, così si chiama vero? Ha voluto creare nella cucina un inaspettato contrasto di sapori, temperature e colori, una realtà virtuale, sempre con la voglia di provocare, sorprendere e deliziare. Si andava da El Bulli non per mangiare, ma per provare un’esperienza. Non possiamo confrontare la mia cucina con quella di Adrià, qual è la migliore è una domanda senza risposta, è come rapportare due modi di vivere completamente diversi, non esistono comuni denominatori. La cucina con la C maiuscola è l’espressione del tempo in cui viviamo, la mia ha avuto la particolarità di adattarsi alla sala, al contrario di quella di Adrià dove la sala ha dovuto adattarsi alla cucina. Le mode cambiano, si trasformano, si destrutturano usando un termine della sua cucina e passerà anche lui di moda, come lo sono passato io (sic!), le nostre cucine rimarranno inevitabilmente ancorate ognuna a un determinato momento storico.

Lei crede che Gualtiero Marchesi sia riuscito a essere in Italia quello che Lei è stato per la Francia?
E’ difficile giudicare da parte mia, siamo di fronte a un grande professionista, una figura geniale. Il percorso di Gualtiero Marchesi è quello di un autore originale che, affascinato dal classico, se ne appropria per farne uno strumento di reinvenzione attraverso l’esercizio di una creatività, uno stile e di un gusto artistico assolutamente personali. Scopre di non amare il fasto, l’opulenza delle salse, la laboriosità delle preparazioni e quella filosofia che fonda l’abilità del cuoco nel saper correggere e perfezionare gli alimenti che la natura offre “imperfetti”; la sua è una cucina di testa, non di gola. “Non mi piace essere preso per la gola” – ricordo che dirà in un’intervista del 1988 – come non mi piace essere preso per il cuore. La mia commozione deve essere una commozione profonda, intellettuale”. E’ il personaggio per eccellenza della seconda metà del Novecento, colui che ha innovato il panorama gastronomico italiano. Le sue creazioni difficilmente entreranno nella tradizione della cucina italiana, perché è un artista fine a se stesso. Le sue idee sono molto creative, le sue provocazioni non si possono insegnare professionalmente.
Marchesi è stato il portatore di uno stile suo originale, di un gusto artistico, di invenzioni che rimarranno certamente nella storia della cucina italiana, non solo è stato il precursore della libertà creativa per il cuoco, per tutti i cuochi. La famosa foto di Oliviero Toscani che lo ritrae non in “abito da lavoro”, ma vestito con un’elegante giacca da sera, fu anche il manifesto, la dichiarazione di una ritrovata dignità e orgoglio professionale della figura del cuoco. Io sono stato il codificatore della cucina francese, Gualtiero Marchesi invece non lo è stato per quella italiana. La vostra tradizione culinaria è una rete di diversità locali che la rende incompatibile con il concetto di codificazione. Proprio questa “diversità” ha decretato però il successo della cucina italiana nel mondo (merci bien, detto da Escoffier è un grande complimento).

Chi è il “personaggio” Escoffier?
Sono un commesso viaggiatore con il cappello da cuoco, un ambasciatore della cucina francese nel mondo, la mia felicità è quella di ritrovarmi ogni mattina in cucina e creare “suggestioni” per i miei clienti. Per l’eternità.

di Riccardo Dary (pubblicato su AROMA Settembre/Ottobre 2012)