Aroma incontra il Direttore Editoriale del Canale Rai Sat/Gambero Rosso.

Come giornalista di politica estera lei ha avuto occasione di conoscere popoli e paesi diversi. In zone in cui le guerre hanno devastato equilibri economici e sociali esiste ancora per la popolazione un “legame con la terra”?
Il legame con la terra diventa sempre più forte tanto più dove gruppi di popolazioni si trovano improvvisamente deportate, umiliate, abbandonate a se stesse: prendiamo il caso dei conflitti che insanguinano l’Africa o tensioni apparentemente insanabili – ben più vicine a noi e alla nostra sensibilità – come quelle che dividono israeliani e palestinesi, incapaci di trovare un’intesa sulla convivenza in quel piccolo lembo di terra dove si confrontano da sessant’anni. Non dimenticherò mai come nei lunghissimi anni della guerra civile i contadini libanesi, sulla montagna che sovrasta Beirut, approfittavano delle pause tra un bombardamento e l’altro per curare le proprie vigne o, più a sud, i fertilissimi orti di Sidone, coltivati dai musulmani. E oggi gli afghani, tra i più poveri montanari del mondo. Chi riuscirebbe mai a spostarli in un villaggio che non sia il loro?…

In che percentuale il cibo e le abitudini alimentari descrivono la cultura di un popolo?
Sarà pure un luogo comune, ma non c’è detto più azzeccato: siamo quello che mangiamo. Per questo, una delle prime cose che faccio quando arrivo in un posto che non conosco è andare a curiosare nel mercato locale: per quanto possiamo essere diversi, in termini di abitudini, materie prime, cucine, per quanto ci sentiamo lontani dalla tavola di un paese che non sia il nostro, le affinità che si trovano chiacchierando con un venditore di “shawarma” in una strada di Amman piuttosto che con uno spacciatore di hot dog in un banchetto di Manhattan, sono sorprendenti. Sarà il frutto dell’egemonia culturale degli Stati Uniti, ma a Teheran, nel cuore della Repubblica Islamica dell’Iran, se c’è un piatto che spopola questo è l’hamburger. Forse pecco di provincialismo, ma l’Italian Food, anzi il Mangiare Italiano, per me è meglio.

Da gennaio di quest’anno lei è direttore editoriale del Canale Rai Sat/Gambero Rosso che ha varato a marzo il nuovo programma “100% rurale” viaggio regionale alla scoperta delle radici culturali una sorta di racconto della tradizione in quattro puntate… E’ l’inizio di un progetto più ampio?
Sì. L’idea è quella di raccontare – con il sostegno determinante dei Gruppi di Azione Locale (Gal) e dei fondi stanziati dall’Unione Europea – come tante regioni del nostro beneamato Paese siano state capaci di salvaguardare le proprie tradizioni, dalla cultura materiale agli eremi religiosi, conciliando l’intelligente difesa del passato con la necessità impellente, l’obbligo direi, di fare i conti con la modernizzazione. E’ vero che in molte zone si è assistito ad un vero scempio, penso al paesaggio, ma è altrettanto innegabile che dagli errori del passato qualcuno ha imparato. A noi piacerebbe – insieme ai protagonisti locali – testimoniare gli sforzi e i successi conseguiti in questa direzione. Siamo partiti dalla Campania e rivolgiamo adesso la nostra attenzione ad una delle terre “vergini”: la Sardegna. Non quella delle vacanze in Costa Smeralda però…

In una recente intervista al Corriere della Sera lei ha detto che uno dei motori del gusto è la “carnalità” intesa come passionalità… Uscirebbe a cena con una bellissima donna astemia e a dieta?
Ora che mi ci fa pensare, mi rendo conto che donne astemie non ne conosco. Sulla dieta però possiamo trattare, perchè seguire un regime alimentare appropriato, consapevole, non significa necessariamente la mortificazione della carne. Ecco perchè parlavo di “carnalità”, proprio perchè sono pochi i luoghi dove l’umanità trova un comune linguaggio di divertimento, a partire dalla tavola e dal letto, luoghi difficilmente separabili.

E’ cambiato secondo lei oggi il significato della cucina? Divenuta oggetto quasi esasperante d’intrattenimento a tutti i costi, cosa rappresenta agli occhi di un più vasto pubblico di fruitori e consumatori?
La rappresentazione della cucina è letteralmente esplosa: merito della televisione, che però, essendo il medium bulimico per definizione, ha paradossalmente finito per fagocitare la gastronomia, in particolare un certo numero di chef di grido, tanto appassionati dalle telecamere da trascurare la bottega. Il vero passo avanti – grazie alla televisione e ai giornali – l’hanno fatto gli italiani, che sono ben più informati di prima, che sanno scegliere meglio e che si preoccupano di verificare la qualità dei piatti che si apprestano a mangiare. Dovendo purtroppo fare i conti con la crisi economica e con alcuni prezzi effettivamente elevati.

Il ruolo e la funzione delle guide gastronomiche è ancora oggi espressione di insindacabile professionalità e competenza o anche qui si rischia di vivere di rendita?
Parlare di guide in maniera generica è come parlare della stampa in assoluto: al pari dei giornali, non tutte le guide sono affidabili, non fosse altro per il proliferare delle pubblicazioni del settore. Le guide hanno un merito storico: hanno censito il patrimonio della patria ristorazione e ci hanno indirizzato in modo da aiutarci a scegliere e a soddisfare curiosità ed esigenze, spesso in zone che non conoscevamo. Una funzione alla quale oggi assolvono più che egregiamente.

L’Italia agricola e rurale del 2002, quando lei conduceva con successo Linea Verde su Rai Uno, lasciava presagire degenerazioni inquietanti come le oncobufale e simili?
L’Italia non è mai stato e non è il paese del Bengodi, come gli italiani non sono sostanzialmente diversi dagli altri. Spero che per l’artigianato e l’industria agro-alimentare scandali come quelli denunciati per la bufala e per alcuni grandi vini costituiscano l’occasione per stringere i controlli e obbligare i produttori ad una disciplina più severa: noi abbiamo il vizio di cominciare ad autoflagellarci per poi autoassolverci alla fine.

Quale può essere la moderna espressione della genialità e dell’estro in cucina al giorno d’oggi?
Una trattoria moderna, o post-moderna. Ora che siamo in estate, mi accontenterei, seduto in riva al mare, di gustarmi uno spaghetto al filetto di pomodoro: ma fumante vorrei trovare la pasta giusta, la cottura impeccabilmente al dente, il pomodoro al top, il basilico vivo appena spiccato dalla pianta, l’olio…. sulla carta la cosa più semplice, nel piatto la più difficile al mondo. Mi berrei un bianco, locale. Lei un attimo fa mi chiedeva della seduzione. Ebbene, penso che basterebbe questo semplice set a convincere qualsiasi signora a lasciarsi andare e a godersi la tavola e la compagnia… o no?

(pubblicato su Aroma di settembre/ottobre 2008)