vignaLa tenuta di Sergio Mottura è una realtà vitivinicola molto importante nel Lazio, non solo per la testimonianza significativa del vino di qualità, ma anche per la gastronomia poiché “La Tana dell’Istrice” è un accogliente agriturismo sorto nel 1996 nel più antico palazzo medievale di Civitella d’Agliano. Il filo conduttore che unisce la tenuta e l’agriturismo è proprio l’istrice, animale scelto come simbolo dell’Azienda e della famiglia Mottura per il suo carattere schivo e riservato e la particolarità di vivere in ambienti che rispettano l’equilibrio ecologico. E inoltre pochi sanno che questo simpatico mammifero è ghiottissimo di uva! L’Azienda, che si estende nella campagna viterbese per 130 ettari, sorge in una zona a bassissimo impatto ambientale, boschi, laghi e torrenti segnano questa terra affascinante di rara bellezza, dove a pochi chilometri a sud si trova Roma, e a nord Firenze. La famiglia Mottura produce un’ampia gamma di prodotti eccellenti: il Poggio alla Costa, il Tragugnano, l’Orvieto secco e amabile, il pluripremiato Muffo, lo Spumante, il Magone, il Civitella rosso, il Latour a Civitella e il Nenfro. Raccontiamo questa terra e i suoi frutti, prodotti da una mano sapiente che è quella di Sergio Mottura, aiutato dalla sua famiglia.

IO PUPITRESSignor Mottura, le vostre origini sono piemontesi, cosa ha spinto la sua famiglia a venire qui nel Lazio?

In realtà non è stata proprio una scelta, ma più un fatto di circostanze poiché mio zio nel 1933 acquistò la tenuta, che io ho continuato a seguire fino ad oggi.

Il nome del vostro prodotto di punta, Latour a Civitella, ricorda la Francia, quali le origini di questo legame?

È dedicato a Louis Fabris Latour che, oltre ad essere un mio amico, è un commerciante borgognese di Beaune, città storicamente importantissima per il commercio del vino, nonché produttore di botti di rovere, che in francese si chiamano “foundres”, ovvero fusti. Louis Assaggiò il cru Poggio alla Costa, un Grechetto che fa solo acciaio, e mi consigliò di farne uno che maturasse in legno proprio alla “borgognese”: così nacque Latour a Civitella.

Come è nata l’idea di produrre il Pinot Nero nel Lazio, visto che si tratta di un vitigno molto delicato, coltivato in luoghi freddi con particolare microclima e terreno?

Inizialmente nel 1963 si era piantato il Montepulciano, decisi di reinnestare nel 1983 il Pinot Noir come base per la spumantizzazione secondo il metodo Champenoise e infine, dopo aver visto il terreno povero e pietroso, quindi adatto a questo tipo di vitigno, ho provato a vinificarlo da solo, con molto successo, devo dire.

A proposito del vostro spumante, anche qui scelta insolita, ci racconti…

Nel 1976 piantai il primo Chardonnay, che consideravo il migliore per spumantizzare, successivamente con l’inserimento del Pinot Noir produssi lo spumante metodo Champenoise. Anche qui però ci fu l’influenza francese, poiché il mio amico proprietario di Clos de Taittinger (una maison de champagne storica e importante che si trova attorno a Reims, nella Champagne ndr) mi convinse che un buon spumante metodo classico (o metodo Champenoise) deve essere Blanc de Blanc e quindi solo di uve Chardonnay. Da questi consigli preziosi nasce lo spumante millesimé Mottura.

State seguendo la strada del biologico, è stato complicato attuarla?

Produrre secondo le regole biologiche comporta fatica e costi molto alti, ma noi crediamo fortemente in questo tipo di produzione nel pieno rispetto delle coltivazioni, impiegando solo concimi organici (ricavati dai residui delle vinacce integrate con le fecce del vino) senza uso di insetticidi. Certamente queste sono scelte che implicano sacrifici in termini economici e di produzione, ma in questo modo privilegiamo la qualità, avendo quindi delle rese minori. Un esempio su tutti, il nostro cru Poggio alla Costa.

Nel patrimonio del Grechetto quanti tipi di cloni avete selezionato?

C’è stato uno studio attento delle diverse selezioni di Grechetto. Abbiamo inizialmente individuato quattro varietà, e tra tutte abbiamo trovato particolarmente interessante quella di Todi e di Orvieto, quest’ultimo scelto per la produzione. Abbiamo visto che lo studio del Dna sui cloni non è stato molto risolutivo, poiché effettivamente la parola chiave è “terroir”, proprio come ci insegnano i francesi; altrimenti non si capirebbe come mai ci siano tante differenze tra piante confinanti. Il terroir è quell’insieme di fattori che vanno dall’ambiente alle tecniche di coltivazione, al terreno stesso, sino alla protezione delle denominazioni d’origine, ed è ciò che esalta la qualità del prodotto. Il Muffo, il vino dolce naturale pluripremiato è così chiamato per la muffa nobile che attacca gli acini surmaturi nel periodo che precede la vendemmia.

Come avete individuato il microclima, notoriamente insolito per il Lazio, che serve appunto a botrytizzare (termine che viene da “botrytis cinerea”, la muffa nobile che attacca gli acini ndr) le uve?

La zona in cui ci troviamo è quella della Valle del Tevere, dove verso la fine anni ’60 furono costruite due dighe, una di Corbara, e l’altra che attraversa proprio il nostro terreno. Queste due dighe hanno creato un microclima molto particolare, assai umido e con nebbie frequenti. Lasciando i grappoli sulla pianta fino a novembre inoltrato, notammo che a ricoprirli c’era una muffa (botrytis cinerea) nobile. Non facemmo da subito il vino ma iniziammo con delle vendemmie tardive, fino al 1995 quando uscì il primo Muffato. Da allora un successo che ci accompagna fino ai nostri giorni. 

 

 

CivitellaLatour a Civitella è un Grechetto in purezza ottenuto dall’assemblaggio dei cinque diversi vigneti di Grechetto presenti in cantina, con apporto gustativo e di struttura maggiore da parte del cru Poggio alla Costa. Il colore è un giallo brillante con riflessi dorati, al naso raffinato e complesso sprigiona sentori fruttati di agrumi, pompelmo, pera, pesca bianca, seguiti da note dolci vanigliate e tostate con profumi di burro fuso e nocciola. L’apporto dell’invecchiamento in carati di rovere per 9 mesi arricchisce il vino di queste note ma è anche il terreno a donare un notevole contributo. In bocca è morbido e ha un buon equilibrio tra alcol e freschezza, è persistente e di corpo. Principe tra i rossi è l’insolito Pinot Nero Magone, dal bel colore rosso rubino trasparente, tipico di questo vitigno, all’olfatto è fruttato di ribes, lampone, viola, chiodi di garofalo, una leggera nota di speziatura dolce e di terra bagnata. In bocca è equilibrato e il tannino è stato estratto sapientemente, lasciando spazio ad una buona acidità e sapidità; è di corpo e fa prospettare una buona evoluzione nel tempo. Il Muffo, la dolce conclusione, chiude i pasti come pochi vini della stessa categoria riescono a fare. Il colore è dorato con sfumature ambrate. Dai profumi intensi di mela cotogna cedro e arancia canditi, caramello, miele di castagno e carruba, spicca una leggera nota iodata. In bocca ha una buona rispondenza gusto-olfattiva, è avvolgente e accarezza il palato con una dolcezza non stucchevole, mitigata da una buona freschezza. Tornano i sapori canditi e caramellati con un finale di mandorla tostata.