Espresso, cappuccino, marocchino, mokaccino…. Tante sono le espressioni di questa sostanza misteriosa ed esotica, entrata prepotentemente nella cultura nostrana e nel rituale quotidiano dei suoi milioni di estimatori.

“Un caffè, per favore”. Si fa presto a chiederlo, ma quanto sappiamo di questo liquido nero di cui non riusciamo proprio a fare a meno? Quella polvere che noi comunemente chiamiamo caffè altro non è che il prodotto della molatura dei semi tostati dei frutti di un arbusto, la Coffea, diffusa in tutta la fascia tropicale. Esistono diverse varietà di questa pianta, geneticamente molto diverse tra loro, anche per quel che riguarda l’ambiente prediletto. La più pregiata e apprezzata è l’Arabica, diffusa principalmente sull’altopiano brasiliano, dai chicchi di sapore più fruttato ed aromatico, ma trova largo impiego anche la Robusta, diffusa in Africa e Oriente, meno pregiata e dal gusto più forte e deciso, ma più economica e facile da coltivare.

Caratteristica della pianta di Coffea è la produzione di piccoli frutti, drupe simili alle ciliegie, che custodiscono ciascuno due di quei preziosi semi che, dopo la la tostatura, diventeranno i chicchi di caffè neri che tutti conosciamo. Il seme all’origine si presenta del tutto incolore e insapore, per questo la tostatura è la fase più complessa e determinante nella produzione del caffè, giacché determina l’aroma finale della miscela, attraverso un controllato processo di cottura e disidratazione del chicco atto a bilanciare il rapporto tra acidità e amarezza.

Ma la vera difficoltà della produzione del caffè è che non ne esiste un rapporto unico ed universalmente apprezzato. Ogni cultura, ogni popolazione, addirittura ogni persona, ha stabilito infatti il proprio livello di accettazione del grado di amaro e di acido tollerabile, per cui difficilmente uno stesso tipo di miscela potrà incontrare ovunque lo stesso favore di pubblico. L’amaro infatti è uno dei sapori sensorialmente classificato come campanello d’allarme, perché rappresenta il gusto tipico delle sostanze tossiche per il nostro organismo, al contrario ad esempio del dolce, un sapore che siamo abituati a considerare sicuro sin dalla nascita, grazie al latte materno. Ci sono voluti secoli di tentativi ed esperimenti per far sì che sostanze dal sapore amaro riuscissero ad entrare nella nostra dieta, e tra queste c’è il caffè.

Il percorso storico del caffè, infatti, sebbene inizi in Africa, ha dovuto fare quasi l’intero giro del mondo prima di arrivare in Europa. Patria di nascita del caffè fu l’Etiopia dove, secondo la leggenda, entrò nell’uso dopo che alcuni pastori ebbero notato che le capre che consumavano le bacche di questa pianta producevano più latte. Le invasioni turche diffusero rapidamente questa bevanda che contemporaneamente era entrata nell’immaginario comune grazie ai racconti dei viaggiatori e dei colonizzatori dei paesi orientali di India ed Indonesia.

Nel 1615 il caffè fece il suo ingresso ufficiale nei commerci grazie ai mercanti veneziani che battevano le rotte marittime che univano l’Oriente con Venezia e Napoli, e da qui conquistò tutta la penisola, portandosi dietro il suo fascino esotico. Ma la svolta decisiva nella produzione fu solo nel 1727 quando l’arbusto toccò per la prima volta il suolo brasiliano per trovarvi il suo habitat d’elezione. Insieme al cacao il caffè entrò nelle mode di consumo dell’élite europea, che trasformò la caffetteria in un luogo di incontro culturale e fermento ideologico a partire dall’epoca illuminista.

Le mondane botteghe del caffè di Venezia e le sfarzose caffetterie di Torino, Firenze e Roma, furono i primi centri di diffusione di questa discussa bevanda, che solo in un secondo momento trovò a Napoli quello che sarebbe diventato il suo maggiore centro di consumo, dopo essersi epurato da false credenze e dicerie mediche.

Sul caffè si è detto di tutto e di più. La Chiesa lo ha definito la bevanda del diavolo e dal colore dell’inferno, per le sue proprietà eccitanti e corroboranti, e molte altre critiche gli sono state avanzate anche in campo medico. Tuttavia, nessuno studio ha mai dimostrato realmente che il caffè faccia male. Come in ogni cosa “in medio stat virtus” e, a meno che non si soffra di gastrite cronica, una dose controllata di caffè pare possa avere sicuri effetti positivi: non solo migliorerebbe le prestazioni mentali e fisiche, aumentando la concentrazione e alzando la pressione, ma in virtù delle sue proprietà antiossidanti, contribuirebbe ad abbassare il rischio di cancro al colon-retto e al fegato, l’asma, il diabete di tipo 2, l’Alzheimer e il Parkinson.

Gustare un caffè, come assaporare una pietanza prelibata o degustare un calice di vino, dovrebbe essere un atto ragionato e consapevole, un momento piacevole da concedersi con calma ed attenzione. Quella del caffè è un’esperienza che coinvolge e gratifica tutti i sensi. C’è la vista, che ne giudica il colore e la consistenza, ma soprattutto, nel caso dell’espresso, l’indispensabile presenza della cremina: non solo è gradevole a vedersi, ma svolge la funzione fondamentale di trattenere tutti gli aromi della miscela, che potranno essere apprezzati dall’olfatto sia direttamente che per via retro-nasale dopo la deglutizione.

In una tazzina di caffè si possono celare fino a 800 aromi diversi, che spaziano da sentori piacevoli come il cioccolato, il tabacco, la frutta, i fiori, la frutta secca e il pane tostato, a quelli più sgradevoli, come il sentore di patatina fritta o di terra. L’analisi olfattiva preannuncia e prepara a quella che sarà l’esperienza gustativa del caffè, veicolata dalla saliva, che indirizza le molecole saporifere in direzione delle papille, a cui si abbina l’analisi tattile, che giudicherà il “corpo” del caffè.

Ma il bello del caffè è che tutta l’esperienza non si conclude con la deglutizione: la scoperta persiste, grazie alla componente oleosa della macinatura, che continua a rilasciare componenti aromatiche anche molto dopo l’ingerimento. Tempi lunghi che possono però essere terribili se quello che si è bevuto era un caffè scadente!

I principali errori con il caffè:
– ilcaffè sovraestratto: è il caffè che si fa attendere troppo, quello che vediamo cadere goccia a goccia nella tazzina. Presenta cremina molto scura, odore di bruciato e gusto molto amaro e sgradevole. E’ dovuto ad una dose eccessiva di polvere, ad una macinatura troppo fine e/o ad una temperatura dell’acqua troppo alta.

– il caffè sottoestratto: si presenta liquido, privo di corposità, la cremina (se c’è) si dissolve rapidamente, creando il caratteristico “buco” al centro. E’ causato da una pressatura insufficiente della polvere, da una dose di caffè insufficiente, da macinatura troppo grossa o resa tale dall’umidità e/o da una temperatura di estrazione troppo bassa.

– il caffè rancido: è il tipico caffè che abita le case di villeggiatura. Noi torniamo in città, ma lui se ne resta lì, in un barattolino magari neanche a chiusura ermetica, a sfidare l’umidità e le intemperie stagionali. Quando si torna l’anno successivo non c’è da stupirsi che non abbia più aroma, e non certo per colpa della caffettiera fuori uso!

Dizionario del caffè:

Tostatura: è il procedimento mediante il quale il caffè verde crudo viene trasformato nel chicco nero pronto per la macinatura. I semi verdi vengono esposti a correnti di aria calda (circa 240°C) per un tempo che varia a seconda del risultato che si vuole ottenere. Durante l’esposizione il chicco si disidrata, perdendo quindi peso, e si gonfia, aumentando il proprio volume. La superficie si scurisce, per carbonizzazione della cellulosa e caramellizzazione degli zuccheri, alcune sostanze volatili vanno perse, mentre l’aroma si arricchisce grazie alla formazione sulla superficie di un olio brunastro (il caffeone). La quantità di caffeina si riduce in relazione all’aumento di temperatura e alla durata dell’esposizione.

Miscela: è l’unione di varietà di caffè differenti e provenienti anche da paesi diversi, al fine di creare un prodotto dal gusto più armonico ed equilibrato. Ogni miscela è determinata da molteplici variazioni delle dosi e della tostatura, per cui è unica nel suo genere e la sua ricetta è gelosamente custodita dalle aziende produttrici di caffè torrefatto.

Arabica: la coltivazione della Coffea Arabica occupa i 3/4 della produzione mondiale ed è diffusa principalmente in Brasile. Necessita di un terreno minerale e vulcanico e di un’altitudine fino a 900 metri di altezza. Il chicco di arabica presenta forma allungata con solco sinuoso e i caffè sono molto profumati, dolci, rotondi, leggermente acidi e spesso cioccolatosi, con una crema nocciola chiaro tendente al rossiccio e una gradevole punta di amaro.

Robusta: la sua varietà è stata introdotta soprattutto nelle zone calde e umide orientali dove non riusciva ad attecchire l’Arabica. La robusta è infatti più resistente al caldo e ai parassiti e può essere coltivata anche a 200/300 metri d’altitudine. Il suo chicco è tondo, con solco rettilineo e il suo caffè è più duro, astringente, poco aromatico e con una maggiore dose di caffeina.

Espresso: il caffè erogato dall’apposita macchina, preparato al momento per essere consumato subito. La quantità di una tazzina non deve eccedere i 30 ml, e deve essere ottenuta da 7 gr di polvere in un tempo d’estrazione di 25 secondi. L’estratto finale deve presentare in superficie una cremina compatta e color nocciola con tigrature scure e al gusto deve essere intenso, aromatico, corposo, persistente e con finale amaro ma non bruciato.

Caffè moka: è il prodotto estratto dall’apposita caffettiera inventata negli anni ’30. A differenza della macchina da espresso, il caffè raggiunge temperature più alte, perché il funzionamento della moka è vincolato al processo d’ebollizione dell’acqua. Il suo caffè ha un corpo pieno e un aroma ricco e una dose di caffeina superiore a quella dell’espresso, perché sono maggiori temperatura e tempi di estrazione.

Caffè napoletano: come per la moka, bisogna attendere che l’acqua raggiunga l’ebollizione, ma con la differenza che qui non è il vapore a determinare la risalita dell’acqua attraverso il filtro, bensì la forza di gravità, azionata capovolgendo la caffettiera. L’acqua in questo modo percola lentamente attraverso il filtro, creando un estratto più delicato e ricco rispetto alla moka.

Caffè turco: è una vera e propria miscela di acqua, zucchero e polvere di caffè macinata finissima che viene fatta bollire per tre volte in appositi tegamini detti cezve. Il risultato è un bevanda intensa e ricca di caffeina, che può essere aromatizzata con spezie come cardamomo o zafferano.

Le migliori caffetterie di Roma

Andreotti – Via Ostiense, 54/b, tel. 065750773.
Castroni – Via Ottaviano, 55/p, tel. 0699723279.
Domenico Tornatora – Via del Serafico, 108, tel. 0651963704.
Euclide – Piazza Euclide, 45, tel. 068078017.
I dolci di Checco er Carrettiere – Via Benedetta, 7, tel. 065811413
In Galleria – Galleria Alberto Sordi, 56, tel. 066780617.
Mondi – Via della Serenissima, 12, tel. 062593194.
Palombini – Piazza Adenauer, 12, tel 065911701.
Pompi – Via Albalonga, 7/11, tel. 067000418.
Sant’Eustachio – Piazza Sant’Eustachio, 82, tel. 066861309.
Sciascia dal 1922 – Via Fabio Massimo, 80/a, tel. 063211580.
Tazza d’oro – Via degli Orfani, 84, tel. 066789792.
Torrefazione Vicerè – Via F. Grimaldi, 108, tel. 065562751.

di Flavia Rendina
(publicato su Aroma di luglio/agosto 2010)