Il prestigioso Instituto Cervantes ha organizzato a Roma il 9 giugno u.s. una conferenza su “Tecniche e concetti del Celler de Can Roca”. Al termine dell’interessante incontro abbiamo formulato alcune domande a uno dei più autorevoli chef spagnoli: Joan Roca.

Com’è nata la passione per la cucina?
I miei genitori avevano un ristorante e comprarono un locale accanto a questo per ampliarlo. Avevo 22 anni e mio fratello 20, chiedemmo a mamma e papà di lasciarci quella parte per poter avviare una nostra cucina, Jordi si è unito dopo perché era più piccolo. Cucinare è sempre stata la nostra passione fin da ragazzini. Siamo cresciuti e vissuti nel ristorante di famiglia. Le donne non sono mai entrate in cucina. C’è molto rispetto fra noi fratelli, dove non arriva uno, ci pensa l’altro, portando le proprie idee.

Insieme ai suoi fratelli Joseph e Jordi avete creato in 20 anni in quel di Girona un vero gioiello, qual’è il segreto per arrivare ad avere un tale successo?
Non esistono segreti se non quello del lavoro e soprattutto della complicità di tre fratelli. La collaborazione e la precisa divisione del lavoro, Joseph si occupa della sala, Jordi dei dolci ed io della cucina, ha permesso a ciascuno di essere protagonista nel proprio ruolo. Questo equilibrio e tantissimo lavoro sono alla base del successo.

Entrando nel vostro ristorante cosa si aspetta il cliente e come riuscite a coinvolgerlo a 360°?
Riteniamo che il ristorante sia uno spazio globale, la cucina, il vino e i dolci sono tutti molto importanti, ma lo è ancora di più che il cliente si senta a suo agio, felice nel ristorante. Per questo utilizziamo tutti gli strumenti a nostra disposizione, partiamo dall’accoglienza, cerchiamo di far capire al cliente quanto ci stia a cuore il suo totale benessere, e ci impegnamo costantemente per applicare questi principi in maniera molto rigorosa.

La definiscono il padre della cucina sottovuoto, questa tecnica secondo Lei ha veramente stravolto la concezione della cottura e come è arrivato a trasformare il concetto di semplice strumento di conservazione a strumento di creatività?
La tecnica è molto nota, sono diversi anni che viene applicata nell’industria alimentare ma poco nei ristoranti. Quello che abbiamo cercato di fare è spiegare come essa può essere utile in cucina e fornire moltissimi vantaggi nel lavoro quotidiano, nella preparazione, nella mise en place, ma soprattutto nel conservare ed esaltare le caratteristiche organolettiche dei prodotti nella cottura. Tutto questo, pubblicato cinque anni fa nel nostro libro, ci ha permesso di diffondere i vantaggi che tale metodologia apporta, anche nella cucina tradizionale. Ritengo che ciò costituisca un passo in avanti per tutti i cuochi.

Il famoso “piatto” dell’ostrica e terra (gelatina di distillato di terra che sposa il mare, lo iodio, nell’ostrica) è una mera provocazione oppure è la spinta alla ricerca di sapori sempre nuovi?
E’ la possibilità di portare nel piatto un sapore che abbiamo archiviato in forma di odore. E’ un aroma, un aroma di terra bagnata che, nella nostra cucina, diventa un ingrediente. E’ una provocazione ma è anche l’essenza di un concetto ben radicato nella cucina catalana che è il mare, la montagna, infatti questo piatto è innanzitutto una sintesi, il mare è nell’ostrica, la terra è nel distillato di terra. La terra evoca anche emozioni ancestrali: nostalgia, malinconia, è un sapore che quando è in bocca non ti lascia indifferente… E forse la cosa più divertente in cucina è proprio riuscire a suscitare emozioni.

La sua cucina è una simbiosi dei distillati, del vino, del fumo, dei profumi…idee che si materializzano, non teme che queste costruzioni complicate per una cucina così impegnativa, possano sempre trovare il giusto riconoscimento da parte di chi assaggia?
E’ un rischio trasgredire alle norme stabilite ma è anche la parte stimolante della cucina. Quando esiste una buona comunicazione con i clienti tramite il personale addetto alla sala, è importante spiegare molto bene il piatto, quello che vogliamo dal piatto ed aiutare a degustarlo. La comunicazione è nevralgica. Se non fosse così i piatti potrebbero sembrare frivoli ma noi cerchiamo di trasmettere il concetto che il cibo parte da una buona base, un buon contenuto e che, una volta spiegato, tutti possono capirlo. Certamente ci sarà sempre qualcuno che si “chiude”, senz’altro un’eccezione, perchè i clienti che vengono nel nostro ristorante arrivano con la mentalità pronta alla novità.

La polemica scatenata dallo chef Santi Santamaria sull’eccessivo utilizzo da parte di chef definiti “stregoni della chimica in cucina” di emulsionanti e gelificanti, non è stata forse pretestuosa danneggiando così l’immagine di una ristorazione fra le più importanti del mondo?
Il dibattito e la riflessione sui concetti della cucina sono sempre molto interessanti, ma sono persuaso che Santi abbia commesso un grave errore perché ha fatto ricorso a termini non adeguati, che nuocciono all’immagine della cucina. Credo sia stato un discorso populista che ha cercato di screditare la cucina moderna, non riuscendovi peraltro. Il dibattito infatti è ancora aperto, non c’è motivo di paragonare la cucina moderna a quella tradizionale, le due possono perfettamente convivere. Noi facciamo una cucina moderna basata su quella tradizionale e senza quest’ultima la nostra non esisterebbe, è assurdo creare questa diatriba. Dico sì al confronto, no allo scontro.

Con tanti giovani che passano per i grandi ristoranti, perché poi risulta così ristretto il numero di quelli che poi trionfano nell’alta cucina?
E’ difficile riuscire a spiegarlo. Ritengo comunque che fondamentalmente la cucina viva un momento felice, in Italia, in Spagna, in Francia. In Italia e in Spagna si tratta di un fenomeno nuovo, quindi credo che quello che manca per raggiungere la vetta è l’impegno, il lavoro, credere fermamente in un’idea e a volte correre qualche rischio anche trasgredendo alle convenzioni per poter attrarre l’attenzione del pubblico.

Cosa pensa della cucina italiana e dei nostri chef?
Mi interessa molto l’evoluzione della cucina moderna italiana, ci sono numerose similitudini tra Italia e Spagna soprattutto per quanto riguarda il patrimonio delle rispettive cucine tradizionali, senz’altro le più ricche del mondo. Partecipo a molti incontri gastronomici, esiste un grande interesse nello scambio e nella comunicazione, molti cuochi italiani vengono da noi in Spagna ed io, se posso, ricambio la visita, quindi interviene un costruttivo flusso di esperienze ma soprattutto c’è il desiderio di condividere questo momento speciale della cucina contemporanea.

Oggi uno dei problemi gravi oggi dell’alimentazione – e lo sarà ancora di più nel futuro – è quello del reperimento delle materie prime, di qualità e gusto. Gli alimenti industriali creano sempre più controindicazioni, come pensa si possa risolvere questo dilemma?
Attualmente questo è il problema principale e noi cerchiamo di risolverlo contattando direttamente i produttori affinché ci forniscano esattamente i prodotti che noi pretendiamo. E’ un procedimento senz’altro più costoso ma per noi è vitale che le materie prime impiegate siano di altissima qualità. La questione è sempre esistita nell’alta cucina e la polemica intorno ad essa è quindi assolutamente demagogica perché noi lavoriamo sempre con prodotti eccellenti, nessuno oserebbe cucinare senza questi presupposti.

(pubblicato su Aroma di settembre/otttobre 2008)