Ore 19.00 in un mercoledì di una calda primavera che solo a quest’ora comincia a regalare un po’ d’aria fresca e leggera. Mi trovo nel cuore di Roma, in via degli Specchi, seduto su un divanetto di Crudo, il mio ristorante. Sto per fare una chiacchierata con un amico, un grande chef, un vero e proprio alchimista dei sapori: Moreno Cedroni, chef e patron de “La Madonnina del Pescatore” di Senigallia (Ancona), protagonista a testa alta nel tempio della gastronomia internazionale…


Che aria tira lassù?

Partendo dagli ingredienti genuini e semplici della nostra tradizione riusciamo a fare dei piatti speciali, è questa la vera magia. Nessun olimpo della buona cucina, solo una gastronomia di qualità fatta di cose buone, messe insieme sapientemente, giocando con le consistenze e le temperature, per portare in tavola dei sapori speciali.

Nessuno psichedelico effetto speciale? Tradizione e creatività, tutto qui?
Io credo davvero che la cucina sia lo specchio dell’anima, di quello che sei e che sei stato, dell’aria che hai respirato, di come sei cresciuto.
Ecco, in questo senso la mia cucina è un perfetto connubio tra la voglia di spingersi al confine dell’avanguardia culinaria e il voler mantenere piedi e radici ben saldi nei sapori semplici e tradizionali con i quali sono cresciuto. Un mio eterno ritorno ai sapori di bimbo.

Ecco allora dove si colloca la stupenda stracciatella su vongole veraci, un piatto semplice ma evocativo e intrigante. I tuoi menù ci raccontano anche di piatti decisamente particolari: uova di seppia e gelato di alici, tortelli ripieni di parmigiano su salsa di pomodoro e carne cruda, in cui si inverte il ripieno, spostato all’esterno, con il condimento, portato invece all’interno. O ancora, il risotto di mare bianco e rosso con mela verde, avvolgente nel contrasto tra la purea di mela verde, il caldo risotto ai frutti di mare in bianco ed il ragù di frutti di mare crudi, leggermente freddo…
Mi piace giocare con i sapori, con i colori e con le trame del cibo.
Per me la cucina è creatività emotiva ed emozionale, è gioco, “fantasia e concretezza”.

Moreno Credroni chef emozionale… Ti posso definire così?
(Ride) … Mi piace, sì.

Quali sono le nuove tendenze in cucina?
La gente è sempre più curiosa, ha voglia di assaggiare tante piccole cose contemporaneamente, bocconi solidi e liquidi, crudi, cotti e marinati. Io propongo una portata di “8 cucchiai”, che ti permette di assaggiare sapori diversi nello stesso piatto.

Alterni anche il caldo e il freddo?
Sì, sia per dare un tocco di calore ad un alimento freddo, sia per dare l’impressione della cottura. È un piccolo trucco per ingannare il palato di chi non è abituato a mangiare cibi crudi, un’illusione, una magia.

Siamo abituati culturalmente a credere i cibi freddi come appannaggio esclusivamente della cucina estiva, non è così dunque?
I cibi freddi si mangiano con piacere tutto l’anno ma bisogna prestare attenzione alla temperatura di servizio: d’inverno deve essere di circa 15°C, mentre d’estate può arrivare a 10°C. Più freddo di così potrebbe essere sgradevole. In questa stagione sono buonissimi anche i minestroni freddi.

Qual è il tuo ingrediente-culto?
L’olio extravergine d’oliva, ma mi piace molto anche l’aglio.

E quello più versatile?
Il pomodoro, ma non bisogna esagerare.

Tu non sei uno chef che rimane inchiodato solo ai fornelli tricolore… Hai aperto a Portonovo il Clandestino, un sushi bar, no?
Attento a come lo scrivi, il mio è un susci bar, si scrive in italiano …

Uno che prende il «sushi» giapponese, sostituisce la «h» con la «c», propone il «susci» nazionale e registra il marchio chi è? Un furbo o un genio? Paolo Marchi nel libro «Sushi&Susci» (Bibliotheca Culinaria) propende per la seconda ipotesi.
Guarda Fede, io credo che la cucina italiana debba osare di più: la millesima versione del brasato non basta, né l’ennesima abbuffata di pasta o di polenta.
In fondo, il sushi/susci che serviamo noi non ha nulla di giapponese, viene dal mar Adriatico che dormicchia lì davanti. La non-cottura del pesce è solo un punto di partenza: sbaglierò, ma in questi piatti trovo un sacco di nostri sapori (pomodoro, basilico, peperoni, burrata …) Il piatto è una singola voce di un insieme più vasto composto da visioni, panorami, colori, profumi che sono assolutamente italiani, vino compreso.

La tua clientela come affronta il susci?
Negli ultimi anni c’è stata una notevole apertura verso questo tipo di cibo. Il crudo piace a tutti, purché gli ingredienti siano riconoscibili e di qualità e gli accostamenti di sapore siano gradevoli. Non credo ci sia un confine tra crudo e cotto bensì un confine tra buono e cattivo.

… E poi tra le tue creazioni c’è Anikò (in dialetto “ogni cosa”) un vero e proprio chiosco del buon pesce, dove puoi acquistare e gustare creazioni ittiche come fossero caldarroste, da passeggio … Dove possiamo acquistare le tue famose scatolette… Una volta per tutte, cosa sono?
Ah le scatolette… che diavoleria, eh? Scherzi a parte. A me piace definire Anikò quasi come una salumeria di pesce (pesciumeria?) strettamente legata all’Officina dove i pesci vengono “salumati” così come sono preparati salse e prodotti in scatola, le famose scatolette appunto, che non sono altro che ricette di pesce tradizionali e genuine.

L’esperimento paraindustriale di un artigiano del sapore.Com’era prima? Chef emozionale… Ora artigiano del sapore, devo aggiornare il mio biglietto da visita.

Quanto ti senti legato ai tuoi posti, al tuo mare?
Io sono nato sul mare, ho studiato all’Istituto Nautico di Ancona, volevo diventare comandante di un mercantile…

E poi cosa e’ successo?
Poi ho scoperto che il mio legame con il mare poteva passare attraverso le strade del gusto e del buon cibo, a vent’anni ho traversato il guado di tanti cuochi italiani, ho aperto un ristorante-pizzeria. Ho studiato in Francia e in Spagna, contemporaneamente ho conosciuto Mariella, mia moglie e insieme abbiamo armato la nostra piccola flotta gastronomica.

A questo proposito il rapporto con il famoso “terroir” sembra ormai indispensabile. Ma non c’è il rischio di annoiare un cliente sempre più bombardato da una tensione verso l’origine a tutti i costi?
Il territorio siamo noi stessi. L’origine è importantissima, poi dipende dalla sensibilità, dalla cultura, dalla maturità del cuoco non farla diventare qualcosa di noioso.

Dando uno sguardo al contesto nel quale viviamo, è evidente la crisi economica. Una situazione non facile che potrebbe tradursi in una ridotta possibilità di concedersi cene preziose come le tue. Tu hai mai avvertito questo problema?
Tutto sommato direi di no, pur essendo il mio un ristorante di target alto, negli ultimi anni si è registrato un importante fenomeno: una folta schiera di giovani curiosi ed appassionati, dai 20 ai 40 anni amanti della qualità, hanno sostituito il cliente più datato. Questa è la dimostrazione del fatto che si sta diffondendo anche tra i più giovani il piacere del buon cibo a dispetto della quantità.

C’e’ qualcuno nel panorama culinario internazionale al quale ti ispiri, con il quale hai uno scambio particolare?
Assolutamente sì. In Spagna c’è Ferran Adrià, il mio maestro più importante, il mio vero guru.

Ferran Adrià, ricordiamo lo chef catalano patron del ristorante El Bulli sulla Costa Brava, in cucina gioca con gli alimenti, creando inattesi contrasti di sapore, contrapponendo diverse temperature e consistenze. Ha inventato minestre dolci e gelati salati, piatti che con la loro stravaganza hanno fatto il giro del mondo. Cosa, soprattutto, ti colpisce della sua cucina? Qual è il suo segreto che hai fatto più tuo?
Lui, tra i primi, si è avvalso di tecniche di cottura – o di preparazione dei cibi – sconosciute all’arte culinaria tradizionale, figuriamoci a quella italiana. Grazie ai suoi insegnamenti ho potuto ripensare al concetto di emulsione, uno dei più importanti tra i fornelli, all’utilizzo del sifone o del forno a micro-onde.

A leggere i mensili specializzati di enogastronomia sembrerebbe che la Spagna della ristorazione oggi sappia interpretare meglio i gusti e i desideri dei consumatori più evoluti. Ne deduciamo che noi italiani abbiamo solo da imparare?
In effetti in Spagna c’è un movimento creativo molto forte dettato da pochi, mentre in Italia c’è una folta schiera di giovani pronti a dire la loro. Direi che tra poco ne vedremo i benefici. Gli spagnoli prima di noi si sono modernizzati nelle tecniche e nelle ricette grazie proprio a Ferran Adrià, che è unico ed irripetibile.

Secondo me la folta schiera di giovani come te, con la tua fantasia, la tua creatività e il forte legame alla tradizione, non potranno che tenere alta la bandiera dei sapori italiani.
Grazie della fiducia. Noi stiamo lavorando per questo…

Moreno Cedroni nasce ad Ancona nel 1964, frequenta l’Istituto Nautico e si diploma nel 1983. Nel 1984 apre il ristorante-pizzeria La Madonnina del Pescatore. Nel 1989 avviene la prima ristrutturazione del locale e scompare la pizza dal menù, che subisce i primi mutamenti. Nel 1992 incontra la moglie Mariella che sposa nel 1994. Nasce in Cedroni il desiderio di cambiare, che si concretizza con la partecipazione ad alcuni corsi presso l’Istituto Superiore di Arti culinarie Etoile ed uno stage da Ferran Adrià.

Ricetta: [RIF:767|_self|]Scampi con polenta[/RIF]

(pubblicato su Aroma di luglio/agosto 2007)