Conteso all’Urbe dalla città che gli conferisce il proprio nome, figlio della pastorizia secondo alcuni o dei sobborghi romani per altri ancora, è il piatto-simbolo della gastronomia laziale, il più amato ma anche il più discusso: amatriciana o matriciana, la dicitura corretta poco importa, quella che conta è l’esecuzione perfetta di una ricetta che, semplice solo in apparenza, rappresenta da sempre un difficile banco di prova per qualsiasi chef che si cimenti.

A parte le controversie, tipo cipolla sì cipolla no o la pancetta al posto del guanciale (per alcuni la pancetta, più magra, è meglio del guanciale, specie se non perfettamente stagionato), il segreto è tutto nel sapiente dosaggio degli ingredienti (la parola magica: equilibrio!) e, come in tutte le opere d’arte per definizione, il capriccio del momento, quel tocco irripetibile, squisitamente individuale, capace di rendere unico un piatto.
Perché la cucina non è una scienza esatta, quindi sempre replicabile in modo pedissequo: ma va detto che alcuni eccezionali interpreti, al di là dell’umore del giorno o degli infiniti fattori variabili, riescono sempre o quasi a fare di questo piatto un capolavoro goloso.

Alcuni accorgimenti del mestiere però aiutano, come ci svela Angelo Troiani, un vero fuoriclasse dell’amatriciana. Ad esempio, l’impiego di un tegame in ferro è una leggenda metropolitana, l’importante è che la padella sia spessa per evitare bruschi alti e bassi di calore (ad ogni modo sempre fuoco basso per non bruciare il grasso, che cambierebbe colore e sapore), il Casalino con la sua acidità tempera il grasso del guanciale, ma in estate è preferibile usare i pelati perché il pomodoro maturo ha un sapore troppo deciso e sovrastante, la tipologia di pasta (bucatini o vermicelli bucati) o ancora l’aceto balsamico, indispensabile per la caramellizzazione.Le guide di riferimento, in particolare il Gambero Rosso, nelle ultime edizioni hanno dato sempre maggiore risalto a quei ristoranti che si distinguono per la migliore realizzazione delle specialità tipiche, tra cui naturalmente l’amatriciana. Dove trovarla, dunque, in città nelle sue più riuscite interpretazioni?

Sicuramente al Convivio di Angelo Troiani, come decreta il Gambero Rosso, (“amatriciana da urlo”), all’Arcangelo di Arcangelo Dandini (Espresso: “amatriciana a regola d’arte”; Gambero Rosso: “indimenticabile”) o all’Osteria di San Cesareo (Gambero Rosso: “magistrale”) ma anche in posti non menzionati, almeno secondo l’esperienza diretta di Aroma, come Checchino dal 1887, Camponeschi, Roma Sparita, Giggetto al Portico (foto) o l’immarcescibile Felice a Testaccio.

Infine una riflessione: l’amatriciana risulta essere il piatto più apprezzato anche dagli stranieri in visita alla Capitale: famoso l’episodio della Regina Elisabetta che, durante un banchetto, abbandonò per un attimo il suo proverbiale aplomb di fronte ad un piatto fumante di bucatini…. God save amatriciana!