Guardiamo l’Umbria con l’occhio romantico dei grandi artisti del passato,
il Perugino, delicato pittore ispirato dal felice connubio tra arte e natura – caratteristica peculiare di questa regione incantata – Michelangelo, che nei boschi di Monteluco veniva a riposarsi dalle fatiche romane, Stendhal, disposto ad allungare la strada tra Roma e Firenze per godersi i “bellissimi dintorni” del lago Trasimeno, e poi ancora Byron, Goethe e D’Annunzio, che sognò di venire in Umbria per cogliere le rose nei segreti orti dei conventi, mangiare i dolci delle monache e bere l’Est Est Est in una tazzetta etrusca…

L’immagine che il viaggiatore moderno ha dell’Umbria è ancora questa, un paesaggio dalla limpidezza serena, angelica quasi, dominato da un fitto corollario di città, le stesse dei quadri antichi, con improvvisi sfondi di verde e di azzurro, che sfumano nei memento francescani. Il Santo di Assisi è ovunque presente con la sua leggenda, la sua rinuncia semplice che riecheggia nei tratti addolciti dei volti degli abitanti, nella grazia che vela i profili ieratici degli uomini e delle cose. E’ l’Umbria una terra di santi, con Francesco ci sono Santa Chiara, Santa Rita, San Benedetto e, anche se soltanto per dedica devozionale di molte chiese a lui intitolate, Sant’Agostino, che assimilava il mondo ad un libro, “e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”.

Cio’ suona ancora più vero se ci addentriamo nei sobborghi dell’Umbria, una regione che non gode di grande notorietà, fatta eccezione per le mete tradizionali di un turismo un po’ standardizzato, che lascia in ombra tantissimi piccoli centri di straordinario interesse, preziosi tesori di un’arte veramente italiana, in perfetta simbiosi con il verde ed il cielo aperto tra gli alberi, che attendono di essere scoperti, non senza un’emozione dal sapore antico. Il tempo pare essersi fermato tra gli scorci inattesi dei vicoli in cui appare un sogno cavalleresco di borghi e castelli miracolosamente intatti, serrati in veglia su un’incarnata allegoria trecentesca, dove la vita assomiglia ad un idillio dall’equilibrio arcaico e tutt’intorno si scorgono compostezza, fiori alle finestre e donne affacciate al balcone, nell’ora di grazia della giornata, consegnata al riposo dopo la fatica del lavoro.

Il nostro viaggio, per dirsi completo, pretende di toccare questi paesi, spesso ignorati dai flussi turistici, percorrendo un itinerario che chiuda in un cerchio le città più note insieme ai centri della regione che restano appartati, nonostante la grande ricchezza delle loro attrattive. Tutti, più o meno famosi, sono da girarsi a piedi o in bicicletta, dopo aver lasciato le automobili fuori dalle cinte murarie, oltre le quali il ricordo del traffico si stempera nella quiete sospesa e irreale, tra strette viuzze e casupole da presepio.

Il gusto della tavola è spesso un utile strumento di conoscenza per comprendere a fondo un paese e le sue tradizioni: sarà quindi il profumo inconfondibile del tartufo, il diamante della gastronomia umbra, a guidarci verso Norcia, la capitale della qualità più pregiata (il nero), o a nord, a Città di Castello, dove regna sua maestà il tartufo bianco che si distingue per delicatezza, specie se abbinato ad un vino della zona di Orvieto o di Torgiano. Spoleto non è conosciuta solo per la Cattedrale, peraltro splendida, o per il Festival Internazionale dei Due Mondi, ma anche come centro di raccolta dell’olio, tra i più raffinati d’Italia.

Sempre a Norcia, non lontano da Cascia e dal Santuario di Santa Rita, si produce la migliore porchetta, cotta allo spiedo e condita con spezie e aromi, il prosciutto e la salsiccia dolce con uva sultanina. A Trevi ogni anno si tiene una sagra del pregiato sedano nero e della salsiccia, mentre Castelluccio è la patria delle prelibate (rarissime) lenticchie d’altura, che crescono esclusivamente nella Piana, a 1.300 metri d’altezza. Le strade dell’artigianato ci portano un po’ dovunque in Umbria, regione in cui l’antica pazienza del lavoro di bottega, accompagnata da uno squisito, gentile senso estetico, affonda le radici nel lontano Medioevo.

Le ceramiche e le maioliche artistiche si producono specialmente a Deruta, ma anche a Gualdo Tadino, Gubbio e Orvieto, mentre altre attività sopravvivono nei laboratori di città come Assisi, apprezzata per i suoi ricami in bianco, Spello, dove si continua la lavorazione secolare del legno d’ulivo, Perugia che fa la gioia del viaggiatore sentimentale con le sue botteghe pittoresche, dedite all’arte dei ferri battuti, del legno e del cuoio. Siamo tornati, casualmente, senza accorgercene, a parlare dell’arte, perchè qui tutti – con una naturalezza di origine ancestrale – interagiscono nell’arte e l’arte si respira come ossigeno nell’aria.

Una parola magica, che diventa la chiave per aprire le porte di un mondo in cui la bellezza è inebriante proprio come la brezza tonica che trascorre le città antiche, in vetta o in pianura, regalando un senso di euforia e pienezza del vivere. Non possiamo dunque rinunciare al pretesto dell’arte per avvicinarci a Perugia, troneggiante su un colle come un’acropoli, con le sue torri, campanili e mura merlate assorte nell’ombra verde. Dalla terrazza spalancata sulla vastità della Valle Umbra, si scorgono, sciolte in lontananza nel panorama morbido, come in un soave acquarello, le colline punteggiate dalle città-goiello di Foligno, Assisi, Nocera e Gualdo.

Perugia è un incredibile palcoscenico umano, la città che meglio si presta per andare a passeggio, ed incrociare, specie durante il Festival Jazz in estate, giovani da tutto il mondo, venuti in vacanza o a studiare nella prestigiosa Università per Stranieri. Assisi, una fortezza dello spirito di straordinaria importanza religiosa, è la città-simbolo della devozione e della fede. Della memoria di San Francesco si vestono tutte le pietre grigie e rosa, con cui sono fatte le case, scaglionate da vie tortuose e ripide, che aprono a tratti, dalle erte terrazze, visioni e sfondi pervasi da una sorta di esaltazione mistica, di sublime forza patetica.

A Gubbio, sprofondata in un’atmosfera fuori dal tempo, si avverte la stessa ansietà religiosa, ma i toni sono più cupi, sotto la suggestione dei blocchi di calcare e mattone e di una solitudine conventuale, intensamente triste, che invita all’abbandono meditativo. Il nostro elenco potrebbe continuare, comprendendo anche città ingiustamente trascurate, come Terni, capitale industriale che pure vanta, negli immediati dintorni, i salti d’acqua delle Marmore e rupestri villaggi in pietra arcaica alternati, con suggestivo contrasto, a vecchie fabbriche, oppure Orvieto, dove il Medioevo ritorna con note di struggente romanticismo: e altre ancora (impossibile nominarle tutte) a comporre il quadro, dolcissimo, di un paesaggio promesso, per bocca degli stessi santi, dove la felicità terrena, nel segno dell’antica semplicità, sembra essere un premio divino a portata di mano.

(pubblicato su Aroma di maggio/giugno 2009)