“Non è mica sempre Natale!”, “Natale viene una volta sola!” detti popolari che, come sempre, hanno un fondo di verità. Il Natale infatti è sempre stata una festa attesissima dalle famiglie che per l’occasione si riuniscono attorno ad una tavola imbandita di ogni sfarzo e prelibatezza. Anticamente, seppure in povertà, si aspettava questo evento per avere a disposizione le vivande più ghiotte e sontuose, così da sfoggiare abbondanza e benessere almeno una volta l’anno. Anche Goethe nel suo “Viaggio in Italia” del 1787 dice: “…specialmente le feste di Natale sono giorni famosi per le scorpacciate. Sono giorni di cuccagna universale”.

Ed è proprio dalle tavole popolari che nascono le ricette della tradizione regionale italiana, forse un po’ dimenticate ma preziose perché portano con sé la storia di un territorio. La nostra penisola infatti, nonostante l’estensione, vanta una grande varietà gastronomica, legata ovviamente alle proprie regioni, diversissime dal Nord al Sud per dialetti, tradizioni e cucina. C’è un filo conduttore però che unisce tutte famiglie, dal Trentino alla Sicilia: la produzione dolciaria. Frutta candita, uova, spezie e burro, sono gli ingredienti principali che, mescolati a seconda della terra di appartenenza, arricchiscono il più comune e quotidiano pane di casa. Ecco quindi che si susseguono il pandolce genovese, da non confondere col panettone milanese, il panpepato romagnolo, il panforte toscano, e poi lo zelten del Trentino Alto Adige e gli struffoli napoletani… e via golosando.

VALLE D’AOSTA: Sulle tavole valdostane a Natale non possono mancare:
Mocetta in crostini al miele (salume di muscolo di vacca, pecora o capra essiccata e aromatizzato con erbe di montagna, ginepro e aglio); lardo con castagne cotte e caramellate al miele; zuppa alla Valpellinentze fatta con cavolo, verza, fette di pane raffermo, fontina, brodo, cannella e noce moscata. Ma ad influenzare la cucina valdostana contribuiscono in maniera importante le tradizioni culinarie romane e sabaude, con il piatto più importante del pranzo di Natale: la carbonara valdostana. Della carbonara romana ha solo il nome e le innumerevoli calorie: la ricetta consiste in strisce di carne macerate nel vino e aromi, servite con polenta calda. In Valle d’Aosta non è Natale se a concludere il pranzo non c’è la “Grolla dell’amicizia”, una vera e propria miscela esplosiva fatta di caffè, grappa, Cointreau o Ginepy, scorze di limone e arancia e zucchero: il tutto servito bollente in una specie di grande coppa di legno chiusa, con dei beccucci laterali che escono, per permettere ai commensali di bere.

LOMBARDIA: Il Natale in Lombardia è soprattutto il Pan di Toni, ovvero più comunemente conosciuto come panettone, insieme all’immancabile torrone. Il pranzo di Natale è però caratterizzato da: consommè di cappone in gelatina, cappone ripieno con tritato di uova, grana e mortadella, accompagnato da mostarda di Cremona. Tra i primi piatti c’è una grande varietà di pasta ripiena: dai tortelli di zucca serviti con la mostarda mantovana, tipici di Mantova e Cremona, ai casoncei (casoncelli) di Bergamo e Brescia, mezzelune ripiene di carne e pasta di salame immerse nel brodo di cappone.

TRENTINO ALTO ADIGE: Il Natale qui ha il sapore della cultura mitteleuropea, con i mercatini fatti di casette di legno traboccanti di dolci e spezie della tradizione. A pranzo la cucina tirolese ha tra i suoi protagonisti i canederli, polpettine di pane raffermo, speck, pancetta, salame, farina uova e latte che possono essere gustati con un brodo condito con spinaci, funghi o fegato di vitello. Seguono capriolo o capretto al forno con patate, e gli squisiti dolci strüdel e zelten.

FRIULI VENEZIA GIULIA: Magici e suggestivi anche qui i mercatini tipici del nord Europa si sono stazionati da tempo, specialmente quello di Sauris, in provincia di Udine, dove si trovano i rinomati prosciutti, dolci, miele, conserve, sciroppi e grappe. A tavola la brovada e muset, la tipica zuppa di rape acide e cotechino che viene servita con polenta, è il piatto principale, a seguire ritroviamo anche qui il cappone, la trippa con sugo e formaggio. Il tipico dolce friulano è la gubana, un impasto di noci, mandorle, uvetta, miele, vino e rum, avvolto in una fragrante sfoglia.

VENETO: Da Venezia a Cortina, tutte le località si addobbano a festa con abbondanza di luci e colori, e una congerie di dolciumi e specialità gastronomiche vendute a ogni angolo di strada. Nel menù natalizio si inizia di rito con un antipasto di salumi veneti come la soppressa all’aceto e la salsiccia luganega, seguono i primi con i classici ravioli in brodo di cappone, tra i secondi piatti, immancabili il lesso di cappone o di manzo “al cren”(salsa di rafano), con contorno di patate e salsa di radicchio rosso trevigiano. Principe dei dolci durante le festività il più tradizionale dei “pani conditi”, ovvero il pandoro di Verona.

EMILIA ROMAGNA: Capostipite della tradizione culinaria natalizia, questa regione ha una moltitudine di prodotti e ricette che hanno poi influenzato tutte le tavole italiane. La sera della vigilia è serata di magro, niente carne quindi, e la fanno da padrona le paste ripiene con verdure; come i tortelloni di zucca e i cappelletti “di magro” ripieni di ricotta e bazzotto (un formaggio dal sapore delicato), e tra i secondi, anguilla in umido e fritto misto di pesce. Il pranzo di Natale invece più ricco e abbondante inizia con i più classici dei salumi come la coppa piacentina, e culatello di Zibello o di fiocchetto. Per quanto riguarda i primi piatti, risolta in fretta la diatriba tra i cappelletti romagnoli e i tortellini bolognesi (sostanzialmente gli stessi, con unica differenza nella forma; i secondi dalla pasta più fina e a forma di ombelico), entrambi in brodo, fanno da apripista ai secondi: ricco bollito misto di carne di cappone o gallina, manzo e cotechino di Modena, il tutto servito con la classica mostarda piccante di Modena. A chiudere il menù il panone di Natale di Bologna, fatto con farina, mostarda di mele cotogne, miele, cacao, cioccolata fondente e fichi secchi. Altro dolce è la spongata di Parma, di origine ebraica, a base di pasta frolla, frutta secca, miele e aromi. Il panspeziale o certosino, è un dolce bolognese antichissimo, a base di frutta secca e candita. Probabilmente il suo nome deriva da quegli speziali che nel Medioevo lo idearono e lo prepararono con ingredienti per così dire esotici, come cannella e frutta secca.

PIEMONTE: Terra del vischio, che cresce spontaneo in molte zone e che viene usato per buon augurio, il Piemonte ha anche una squisita tradizione culinaria che per Natale si veste di sapori intensi e particolari. Anche qui troviamo la pasta ripiena, in particolar modo gli agnolotti al plin (il “plin” è il pizzicotto con cui si chiude la pasta tra le dita), conditi con burro e parmigiano o sugo di arrosto. Altre specialità sono l’insalata di carne cruda albese, contorno di peperoni in bagna cauda (una salsa di acciughe e aglio), arrosto di cappone, bollito misto con salse, carote e patate al forno, flan di cardo. I dolci: torta di gianduia e zabaione, e torrone d’Alba.

LIGURIA: Iniziamo dagli antipasti, dove troviamo uno dei capolavori della cucina genovese: il cappon magro, un trionfo di verdure, pesci e profumi di Liguria con le acciughe alla Cavallin. Per i primi di Natale ci si destreggia senza indugio tra i maccheroni di Natale in brodo e i ravioli con il Tocco (speciale sugo di carne “u tuccu”), seguono la cima genovese, il cappone lesso o tacchino alla storiona e il sanguinaccio (salume a base di sangue di maiale). La supremazia dei dolci ce l’ha il pandolce, ricco di canditi, uvetta, pinoli e semi di finocchietto.

TOSCANA: “Chi guasta la vigilia di Natale, corpo di lupo e anima di cane”. Così suona un antico proverbio toscano, per richiamare tutti coloro che non rispettano nel giorno della vigilia di Natale la “cena di magro”. La sera della vigilia infatti si era soliti mangiare una minestra di ceci e baccalà, accompagnata talvolta da castagne secche cotte nell’acqua leggermente salata. Il pranzo al contrario richiedeva grande scialo di sapori e colori per una tavola ricca di cibi gustosi. Crostini di fegatini, brodo di cappone in tazza o cappelletti in brodo, arrosto di faraona, anatra, fegatelli e tordi, tacchina o cappone ripieni, e sformato di gobbi detti anche cardi. I classici dolci toscani sono i cavallucci, il panforte e i ricciarelli.

MARCHE: Regione orientata verso il centro Italia, assorbe quelle che sono un po’ le contaminazioni culinarie delle regioni limitrofe, quindi il brodo, il cappone e i cappelletti non mancano nel pranzo di Natale. Ciò che invece la tradizione marchigiana tramanda ancora oggi è la cena della vigilia. Tra i primi piatti spiccano gli spaghetti al sugo di magro (con olive verdi, tonno, alici). Il pesce viene utilizzato in numerosi modi, dall’antipasto, al primo, ai secondi, al tradizionale brodetto, uno dei piatti principe della tradizione marinara di questa regione che conta tante versioni. Altra pietanza tipica del cenone è l’anguilla arrostita sulla brace con abbondante quantità di foglie di alloro. Particolare importanza si dà allo stoccafisso, anch’esso preparato in variegati modi. Un piatto degno di nota è il vincisgrassi, un timballo di manzo macinato, salsiccia, rigaglie di pollo tritato, prosciutto crudo e funghi porcini. La pizza di Natale è il dolce marchigiano, a base di pane con frutta secca, uvetta, cioccolato in polvere e fichi.

ABRUZZO: Una regione che racchiude al suo interno sia la cucina di mare che quella di montagna, come molte regioni italiane e che, anche a Natale, rispecchia questa identità proponendo l’una e l’altra anima di una terra aspra nella fisionomia, come nei sapori. Una buona minestra di cardi è quello che ci vuole per iniziare un pranzo di Natale in Abruzzo. Tra i primi, una pasta tipica è “lu rintrocilio” con sugo di castrato, maiale, peperoncino e pecorino grattugiato; e tra i secondi la “tacchinella” in brodo, condita con aglio pepe, bacche di ginepro, finocchio, rosmarino, alloro, salvia, timo, menta e maggiorana. Nella provincia di Teramo si prepara il tacchino alla canzanese aromatizzato con alloro, rosmarino e aglio, e cotto con ossa di vitello. Come dolci: “calcionetti” fritti (panzerottini dolci con marmellata d’uva nera detta scurchjiata, maritata con noci tritate, mandorle triturate, mosto e cacao).

UMBRIA: Qui nacque San Francesco, che tra l’altro non tutti sanno essere l’inventore del presepe, nella forma che noi tutti conosciamo. Sarà per questo, ma sta di fatto che tanta spiritualità aleggia nell’aria e tra le mura di questa terra, un afflato mistico che si respira soprattutto durante la festività del Natale. In occasione del pranzo del 25 dicembre, si presenta una cucina semplice concentrata soprattutto sui legumi e i cereali. Cappelletti ripieni di cappone e piccione, anche qui cappone bollito e cardi per contorno, dolci a base di frutta secca e miele come il classico panpepato e i maccheroni con miele e noci e pinocchiate di Perugia, a base di zucchero, pinoli, acqua e farina.

LAZIO: Il menù del Lazio è ricco di sapori genuini che spaziano dalle verdure, al pesce, alla carne. La sera della vigilia si inizia con gli antipasti di verdure fritte in pastella, come broccoli, zucchine romanesche, carote, carciofi, ma anche mele. Sempre tra gli antipasti, carciofi alla romana e crudi in insalata con le scaglie di grana. Si prosegue con una zuppa di broccoli e arzilla (razza chiodata), baccalà fritto e pesci di acqua dolce come l’anguilla cotta in umido. Il giorno dopo, a pranzo si inizia con il classico brodo arricchito dai cappelletti o solo, con un uovo, la cosiddetta “stracciatella”. Per secondo, abbacchio al forno con patate, bollito misto e tacchino ripieno di castagne e salsiccia. A concludere il goloso iter, dolci della tradizione come il pangiallo, impasto di frutta secca, farina, canditi, miele e cioccolato.

MOLISE: Terra di zampogne e zampognari, durante il periodo natalizio ci si trova catapultati indietro nel tempo. Anche a tavola la tradizione è protagonista con piatti rustici che ricordano i sapori di un tempo. Durante la cena della vigilia non possono mancare: Maccarun ch’ i hiucc (maccheroni con mollica di pane raffermo, mandorle e cavolfiore); pizza di Franz in brodo caldo (pezzettini di pizza a base di uova parmigiano grattugiato e prezzemolo al forno); baccalà con verza, e per finire, i “calciuni” a base di farina, vino, castagne lessate, rum, cioccolato, miele, mandorle, cedro candito, cannella, uova e vaniglia.

CAMPANIA: Il Natale in tutta la regione ma soprattutto a Napoli è caratterizzato dal presepe, dal gioco della tombola, dalle novene degli zampognari e dal “Natale in casa Cupiello”, e inevitabilmente anche dal menù natalizio che le famiglie più legate agli usi e costumi del luogo riservano per questi giorni speciali. La sera della vigilia il pesce trionfa a tavola: non solo i classici capitone e baccalà, ma anche quello di paranza. Il pranzo del giorno dopo inizia con una consueta minestra “maritata” a base di cicoria, scarola e “borraccia” (un’erba selvatica amara e pelosa), cappone ripieno e insalata di rinforzo, preparata con cavolfiore, sottaceti misti, peperoni detti papacelle, olive di Gaeta e acciughe salate, accompagnate dalle immancabili friselle. Chiudono il pranzo gli struffoli, roccocò e frutta secca.

PUGLIA: Il numero 13 in Puglia porta bene, specialmente sotto Natale, per l’augurio di un buon anno, e così ricorre a tavola la sera della vigilia in cui le portate, rigorosamente di pesce, devono essere proprio 13. Si susseguono, “vermiciedde” ovvero gli spaghettini preparati in casa, e il capitone in umido o arrosto, baccalà in umido con lampascioni (cipolline dal gusto amarognolo che si trovano sottoterra, allo stato selvatico) e focaccia pugliese. Per il pranzo del 25, agnelli e salsiccia con cime di rapa sono i piatti principali, ma le più attese a Natale sono proprio le pettule del Salento, speciali frittelle e le “carteddate” (cartellate) condite con miele e mosto cotto.

BASILICATA: Anche qui un numero sacro: il 9. La vigilia di Natale si prepara un pasto costituito da nove portate, numero che si vuole legare a quello delle case alle quali la Madonna avrebbe bussato prima di partorire. Tra queste troviamo la minestra di scarola, verza e cardi, con brodo di tacchino, salami con aggiunta di formaggio grattugiato e a pezzettini, baccalà lesso con peperoni cruschi (seccati al sole e calati per pochi secondi nell’olio d’oliva bollente), “strascinari” al ragù di carne mista (pasta casereccia chiamata così perché strisciati a forza con le dita), “piccilatiedd”, pane con le mandorle, “pettole” (pasta lievitata fritta con alici). I dolci sono calzoncelli (panzerotti fritti ripieni di salsa di ceci o castagne lesse) o i dolcetti di Natale.

CALABRIA: Questa terra rovente come il peperoncino qui coltivato propone per le festività natalizie piatti che richiamano i sapori selvatici dell’entroterra, e profumi della costa. Sacralità e cucina si fondono per questi giorni particolari di festa: fare i “cullurielli” (frittelle di patate) è uno dei tanti modi tradizionali di festeggiare la venuta del Messia. Secondo l’usanza, solo alle famiglie povere e a quelle a lutto non è consentito tale lusso. Nel menù natalizio si susseguono: pasta china (lasagne o grossi maccheroni rigati fatti al forno e farciti con polpettine di vitello, salame piccante, provola dolce, caciocavallo e pecorino); stoccafisso con cipolla, pomodoro, capperi, olive e uvetta; capretto e “vrùocculi nìvuri ammullicàti” (broccoli conditi con pepe nero, alloro, aglio e pan grattato). Tra i dolci natalizi degni di nota: “quazunìelli” (calzoncini ripieni di uva passa, noci, mosto cotto e cannella) o “cullurielli” e “pitta ‘mpigliata”.

SICILIA: Sarà per l’estrema vicinanza all’Africa, sarà per il vulcano ,“iddu” come lo chiamano a Stromboli, colui che domina e decide le sorti degli isolani ogni giorno. Sarà per questa influenza ma sta di fatto che la cucina siciliana è piccante, salmastra, dai sapori decisi che profumano di storia e tradizione. Così, a Natale la Sicilia si addobba di ricordi antichi rievocati dalle novene cantate dai “ciaramiddari”, i suonatori di ciaramella, e le tavole ricche di ogni tipo di leccornie ingolosiscono i commensali. Pasta con le sarde, sarde a beccafico (ripiene di mollica, pinoli, bucce di arancia, foglie di alloro e uva passa), insalata di aringhe e arance, carne con pancetta coppata con contorno di “sparaceddi” ovvero i broccoletti, e caponata. Alle specialità salate seguono quelle dolci: mustazzoli (a base di mandorle, cannella e chiodi di garofano), dolci di carne (vitello tritato finemente, mandorle abbrustolite, cioccolato fondente, cannella e chiare d’uovo) e “cubbàita” (torrone di miele con nocciole e mandorle o pistacchi).

SARDEGNA: La Sardegna è una regione in cui la terra ha un significato importante, il mare a volte sembra davvero molto lontano. A Natale nei paesi dell’entroterra si assiste alla preparazione della pasta, del pane, formaggi, coltelli, cesti, ceramiche e “launeddas” (strumento musicale sardo). Durante il pranzo natalizio si mangiano: salumi, salsicce e olive con finocchio selvatico, culigones de casu (ravioli ripieni di pecorino fresco, bietola, noce moscata e zafferano) conditi con sugo di pomodoro e pecorino grattugiato, gnocchetti al ragù d’agnello, agnello o capretto arrosto con verdure. Per i sardi l’agnello è simbolo di sacralità, ma soprattutto nutrimento. Tra i dolci: gueffus (panini lievitati con noci, pinoli e cannella assieme a mosto zuccherino) con patate, come dolce le pabassinas (noci e mandorle tritate, uvetta, buccia d’arancia, semi di anice e mosto cotto).

(pubblicato su Aroma di novembre/dicembre 2010)