La conservazione degli alimenti ha una storia importante che risale probabilmente alla comparsa dell’uomo sulla terra o, quantomeno, a quando l’uomo da nomade si trasformò in stanziale, iniziando così l’attività agricola di produzione vegetale e allevamento animale.

Nessuno potrà mai attribuire l’invenzione di conservare i cibi a qualcuno, ma di certo si possono ben definire i metodi con i quali questa tradizione si è tramandata nel tempo. L’essiccamento consiste nella completa disidratazione dei cibi attraverso il calore naturale del sole o artificiale. In questo modo il sapore risulta più intenso e deciso, e nel caso in cui si tratti la frutta, presenta un maggiore contenuto naturale di zucchero rispetto al frutto fresco. La salatura serve a disidratare i tessuti cellulari con i quali viene a contatto, così da riuscire ad eliminare l’umidità, che è un terreno fertile per muffe e batteri.

Poi c’è il metodo dell’affumicamento, attraverso il quale il cibo viene sottoposto all’azione del fumo derivante dalla combustione senza fiamma lenta e incompleta. Sott’aceto e sott’olio, metodo usato soprattutto per vegetali, solitamente precotti, e pesci in genere fritti o arrostiti. Questo è il metodo per così dire “della nonna”, proprio perché facile, veloce e poco costoso. L’aceto però modifica e copre il sapore originario della frutta e della verdura, infatti risulta difficile mangiarne in grandi quantità. La conservazione per zucchero e quella per calore avvengono mediante una tecnica applicata soprattutto alla frutta (canditi, confetture, gelatine), in genere sottoposta a trattamenti ad alte temperature.

Il metodo biologico avviene invece utilizzando la fermentazione naturale grazie ai componenti stessi degli alimenti come per il vino, i formaggi, lo yogurt e la birra. Ma vediamo nella storia come si è arrivati a questo. Il commercio del pesce sotto sale e affumicato si faceva già nell’antico Egitto e presso i Fenici ed era noto anche ai Greci e ai Romani.

L’uso di prodotti salati ed essiccati risale al primo millennio D.C. (esistono bassorilievi romani che riportano sagome di prosciutti), il prosciutto di Parma trova tracce di progenitori nel XIII secolo e nel ‘500 Bologna già era rinomata per i salumi e gli insaccati, mentre la scoperta dello zucchero determina nel XV secolo la nascita dei primi canditi in Liguria. L’impiego di un effetto protettivo di sostanze chimiche naturali come le resine e i balsami era noto ai Romani, tanto che il cuoco imperiale Apicio nel suo “De Re Coquinaria” afferma di saper conservare la carne con il miele, l’aceto, il sale e la mostarda. E Palladio nel IV secolo raccomandava di conservare le olive facendone strati compatti colmati con miele, aceto e sale.

La vera nascita però della conservazione alimentare che si avvicina di più ai metodi di oggi risale al 1802, anno della scoperta di Nicolas Appert, pasticcere e cuoco francese che ebbe due intuizioni importanti: il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Queste intuizioni, che oggi ci sembrano semplici e scontate, hanno segnato però l’intera storia della conservazione dei cibi e sono tuttora in uso. Infatti in Italia da sempre è costume conservare gli alimenti d’estate per l’inverno, per necessità più che per diletto, proprio perché si approfitta dell’eccedenza di frutta e verdura estiva per farne provviste in vista dei mesi freddi in cui queste scarseggiano.

Nascono quindi le marmellate di ogni tipo: di mele cotogne, di fichi, di frutti di bosco, di albicocche, ma anche di zucca gialla, di cipolla, di sedano, usate oggi in abbinamento ai formaggi; la mostarda di Modena, i capperi sotto sale, i pomodori secchi, le olive sott’olio … ogni regione dal nord al sud ha le sue ricette. Ad esempio i pomodori secchi tradizionalmente siciliani vengono fatti però in tutto il sud Italia, e questa specialità oggi ha raggiunto finalmente le mense non solo della “Padania”, ma anche quelle estere. Non c’è turista che, dopo averla assaggiata al ristorante, non la comprerà al supermercato.

La tradizione vuole che pomodori, preferibilmente il tipo tondo-liscio, vengano spaccati in due, privati dei semi, salati ed esposti al sole su di un’asse di legno per circa 4 giorni. Hanno bisogno di molta cura poichè vanno girati e spostati a seconda del punto più asciutto proprio per privarli totalmente dell’umidità. L’importante è che restino morbidi. Una volta raccolti si mette una foglia di basilico in mezzo alle due metà e un po’ d’aglio se si vuole, poi si mettono sott’olio facendo galleggiare in superficie alcune foglie di alloro.

Un’altra tradizionale ricetta siciliana è quella delle sarde (o acciughe) sotto sale. Fino a non molti anni or sono, infatti, era una delle fatiche estive di ogni famiglia. In estate infatti, per via del miglior clima e la maggiore pescosità, le sarde sono abbondanti e meno costose. Queste attività venivano svolte tutti insieme in famiglia anche per creare momenti di condivisione e lavorare senza sentirne la fatica. Partecipavano tutti, anche i bambini, proprio per non far disperdere la tradizione e perpetuarla attraverso la memoria.

di Manuela Monteforte
(pubblicato su Aroma di gennaio/febbraio 2007)