carciofo_giudiaLa cultura ebraica a Roma ha sempre avuto una grande rilevanza, considerato il suo profondo radicamento nella storia e nella cultura popolare cittadina. Già nel X secolo mercanti e artigiani ebrei si erano stabiliti nell’Urbe presso il ponte Fabricio, in seguito per l’appunto rinominato Ponte Judeorum. Durante il Medioevo il quartiere si ingrandì tanto da arrivare ai quartieri Regola e Sant’Angelo, ma al Pontefice questa espansione iniziava a dare fastidio: nel 1555 infatti Papa IV mise fine allo sviluppo accelerato della comunità, confinando gli ebrei nel ghetto, a ridosso del Teatro di Marcello. Proibì, inoltre, agli ebrei romani di uscire fuori dal loro quartiere, obbligando la chiusura dei portoni delle case durante la notte. La ghettizzazione fu abolita soltanto nel 1870, secondo il piano regolatore di Roma Capitale. Certamente questa discriminazione è stato un altro capitolo nero nella storia tormentata del popolo ebraico, ma ha permesso alla comunità di mantenersi intatta e di tramandare così come erano in origine, ricette, usi e costumi. Nel quartiere la comunità è formata attualmente da circa 15.000 membri, ma ci sono persone anche non ebree che vi risiedono, affascinate dall’alone di mistero che aleggia tra gli antichi palazzi. Visitando il ghetto si potrebbero fare tante piacevoli scoperte, ad esempio che il giudaico-romanesco, lo strano dialetto parlato ancora oggi dagli anziani del ghetto, altro non è che il dialetto romanesco del ‘500, interrotto da qualche termine ebraico. Per quanto invece riguarda la cucina, è veramente difficile riconoscere e porre un netto confine tra quella ebraica e quella romanesca, poichè entrambe sono nate contaminandosi a vicenda. Infatti, proprio come il dialetto, pure la cucina può definirsi giudaico-romanesca e occupa un posto di assoluto rilievo nelle tradizioni locali. Se è vero che molti piatti romani restano esclusi, per i loro ingredienti, dalle prescrizioni kasher, i piatti della tradizione israelita sono praticamente tutti entrati a pieno diritto nella gastronomia capitolina. Tra i più celebri troviamo senza dubbio i carciofi alla giudìa, lo stracotto di manzo, la “concia” di zucchine, gli aliciotti con l’indivia, i “pezzetti” fritti (una frittura mista, fatta con gli avanzi vegetali), le “paste povere” (pasta e ceci, pasta e patate, ecc.) e le frittate.

baccala_vecchia_storiaCon il termine kasher (o kosher secondo la dizione Yiddish) si vuole intendere quell’insieme di prodotti che, in seguito a lunghi processi di controllo, possono essere consumati, oltre che dai buongustai di tutto il mondo, anche dagli esponenti delle comunità ebraiche e da quelle musulmane (Halal è l’equivalente in arabo di kosher). Kasher significa infatti valido, adatto, buono. Un cibo è kasher quando è stato preparato nel rispetto delle norme alimentari ebraiche, e kasherut è l’insieme di queste norme. Oltre a garantire i requisiti fondamentali necessari ai principi religiosi dell’ebraismo, tali prodotti e tali norme offrono un livello di controllo qualitativo superiore. C’è da dire che il modo di preparare i cibi, seppur rispettando alcune regole generali, cambia a seconda della comunità, per cui ci sono diversità tra le comunità del bacino del Mediterraneo (comunità Sefardite), dell’Europa centro-orientale (Comunità Ashkenazite) e del Levante (Comunità Levantine). In questo caso però è evidente la contaminazione e assimilazione con la società dominante, così da aver creato una fusione di sapori mediterranei che profumano d’oriente. Semplificando molto proviamo a descrivere qualche regola generale ma fondamentale della cucina kasher. Come tutti i dettami ebraici, che rivestono di sacralità ogni atto della vita quotidiana, anche il cucinare kasher funge da stimolo alla ricerca interiore. Favorisce inoltre un miglior rapporto con gli altri uomini ed il rispetto per gli animali e la natura. Nella Toràh (il più sacro testo ebraico, l’Antico Testamento per i Cristiani) sono indicate le specie di animali consentite; tra i quadrupedi quelli che si possono mangiare devono avere lo zoccolo spaccato ed essere ruminanti, sono permessi bovini, ovini e caprini. I volatili non devono essere né notturni né rapaci, i pesci devono avere pinne e squame, la carne deve essere completamente priva di sangue poiché nella Toràh c’è scritto: “… nel sangue sta la vita perciò ho detto ai figli di Israele: non mangerete il sangue di qualunque specie di carne”.

carbonara L’animale deve essere sano, qualora fosse malato o imperfetto non è kasher, e deve essere anche privato del nervo sciatico. Inoltre non va mai mischiato il latte ed i suoi derivati con la carne, infatti i ristoranti ebraici sono suddivisi in quelli di latte e di carne. Per quanto riguarda i formaggi sono permessi solo i latticini con caglio chimico o caglio derivante da animale kasher. Per i vini, sono consentiti solo quelli in cui il procedimento è seguito dalla spremitura all’imbottigliamento dal Rabbino. Oggi sono molti i buongustai anche non ebrei che amano sperimentare ristoranti in cui si cucina kasher, e in molti affollano le vie del ghetto per acquistare autentiche prelibatezze. In quest’epoca globalizzata in cui la nouvelle cuisine la fa da padrona, numerosi dei locali kasher di Roma offrono una gustosa cucina fusion, capace di soddisfare palati con sapori venati d’oriente e occidente. Accanto agli agnolotti con il ragù non è quindi raro trovare tipici piatti ashkenaziti come lo schnitzel, latkes di patate, goulash, oppure houmous, cuscus, falafel, shawarma, e altri piatti della tradizione israeliana e nordafricana.

fritto_vegetale_pastell Tra i migliori ristoranti non si può non annoverare una vera istituzione al ghetto: Giggetto al Portico d’Ottavia, giunto ormai alla terza generazione, è l’osteria romana per eccellenza, divenne famosa già nel 1923 per il buon vino di Frascati e per gli ottimi piatti preparati dalla “Sora Ines”, uno su tutti, i leggendari carciofi alla giudìa, che ancora oggi rubano gli occhi e il gusto di chiunque faccia ingresso in questa tradizionale osteria. Altra illustre interprete della cucina giudaico-romanesca è la Taverna del Ghetto, sempre al Portico d’Ottavia, suggestivo scenario che fa da cornice a piatti gustosi e tradizionali, rigorosamente kasher: fettuccine al sugo di stracotto, abbacchio alla giudìa e fiori fritti ripieni di cernia invogliano ad assaggiare tutte le delizie del menù. Più di respiro innovativo anche perchè di recente apertura è Ba’ Ghetto, che si trova in via Livorno (piazza Bologna), e ultimamente ha raddoppiato al ghetto. Elegante e raffinato nella sua semplicità, è gestito dai fratelli Dabush, di pluriennale esperienza nella ristorazione, i quali propongono piatti romani e mediorientali, certificati kasher. Poi c’è Nonna Betta, quando si dice un nome, una garanzia, proprio perchè Betta era la nonna del proprietario, un ex pubblicitario che ha scoperto la vera vocazione nella cucina, e ha saputo sfruttare le sue capacità comunicative accompagnando i clienti del suo ristorante con storie del suo popolo. Il suo nome è Umberto Pavoncello, e insieme al socio nonché bravissimo chef egiziano Gamil Essa Bakhit, presenta le ricette custodite gelosamente della nonna Betta, alle quali si accostano piatti mediorentali. Nella categoria dei ristoranti di latte o carne kasher, Nonna Betta si definisce “chalavì”, cioè a base di latte e verdure a cui è consentito unire anche pesce di ottima qualità, così come si possono preparare pane e dolci fatti in casa. Un assaggio dei piatti: polpetta di tonno al cumino, cacio e pepe con verdure, lasagna al tonno. Ottima è anche la concia, e il cuscus di pesce di straordinaria fattura. Un altro indirizzo da non mancare al ghetto è Yotvata, un ristorante di sobria eleganza che propone una cucina mediorientale kosher insieme a piatti della tradizione romano-giudaica e italiani. Molto buoni il carciofo alla giudìa, gli spaghetti bottarga e pachino, i bombolotti alla carbonara di zucchine, il risotto ai fiori di zucca, i merluzzetti fritti, la concia di zucchine (specialità), la cassola di ricotta e il semifreddo al torroncino. Formaggi, pizze, calzoni, focacce, insalate e buoni dolci fatti in casa.
Non solo ristoranti e trattorie, a Roma si trovano sfiziosi fast food kasher come Chagat, un piccolo locale dove si possono stuzzicare spuntini veloci in un ambiente internazionale, giovanile ed accogliente. Kosher Bistrot, una baguetteria in via Santa Maria del Pianto offre alla sua clientela ottime baguette ripiene di affettati artigianali come carne secca, bresaola e petto d’oca e in più tartine al salmone e bottarga, il tutto accompagnato da un’ottima selezione di vini kosher. Non può mancare infine un dolce suggerimento con le due gelaterie e pasticcerie garantite dal Rabbino di Roma: Bernasconi a piazza Cairoli e Dolce Kosher a via Fonteiana, da veri gourmet!

crostata_pistacchi_e_mandINDIRIZZI:

Giggetto al Portico d’Ottavia – Via del Portico d’Ottavia, 21a. Tel. 066861105. www.giggettoalportico.it l La Taverna del Ghetto – Via del Portico d’Ottavia, 8. Tel. 0668809771. www.latavernadelghetto.com l Ba’ Ghetto – Via Portico d’Ottavia, 57. Tel. 0668892868. www.kosherinrome.com l Nonna Betta – Via del Portico d’Ottavia, 16. Tel. 0668806263 www.nonnabetta.it l Yotvata – Piazza Cenci, 70. Tel. 0668134481 www.yotvata.it l Chagat – Via Santa Maria del Pianto, 66. Tel. 066861267 l Kosher Bistrot – Via Santa Maria del Pianto, 68. Tel. 066864398 l Bernasconi – Piazza B. Cairoli, 16. Tel. 0668806264 l Dolce Kosher – Via Fonteiana, 18d. Tel. 0658365362