campoli pittoreDi amatriciana si è detto e si dice molto. Esistono decine di versioni e di storie, da quelle più antiche alle più recenti, è uno degli argomenti maggiormente discussi tra gli appassionati di cucina romana e laziale.

E ognuno è custode (almeno così crede) della verità assoluta.

Non voglio soffermarmi a pensare se ci vogliano la cipolla, l’aglio, o se la vera amatriciana sia in bianco o con il pomodoro, fresco o pelati. A mio avviso una ricetta come questa può anche servire a ripercorrere l’evoluzione del gusto, attraverso storia e aneddoti. Subito il pensiero corre a quando ero bambino, in famiglia, dove non c’era bisogno di tanta maestria, ma solo di amore per la tavola e per i buoni prodotti fatti in casa: la pancetta stagionata, profumata e ricca di spezie; l’olio dal fruttato intenso, pomodori san Marzano e aromi dell’orto raccolti al momento; e peperoncino preso tra la sfilza di quelli secchi appesi accanto alla porta. Solo a nominare questi ingredienti mi torna alla memoria – in un tripudio di profumi, sapori e colori – un grande piatto di pasta, nell’insalatiera di coccio, cosparso di ottimo pecorino di produzione propria. Mi chiedo: in quale ristorante o da quale grande chef potrò più riassaporarlo? Nella mia carriera ne ho preparate tante, di amatriciane, prima nelle trattorie, poi nei ristoranti e nei locali di livello. Tutte fatte bene, con amore e professionalità, forse più buone di quelle attuali, ma sicuramente diverse. Ora le mie ricette sono piene di storia, conoscenza, emotività: mi piace “sentire” il momento, vedere chi sono i miei commensali e saperne interpretare i gusti, scegliere gli ingredienti e cucinarli con profonda attenzione, percepirne la trasformazione. Direi quasi “vivere” la ricetta per poi offrirla ai miei ospiti.

Ma insomma, come la mangerei ora questa amatriciana o matriciana?

L’appetito vien scrivendo, niente di meglio allora per interpretare una ricetta succulenta e piena di gusto come l’amatriciana. Può sembrare strano, ma un sano “egoismo” in cucina aiuta (bisogna sempre pensare che ogni piatto dovrebbe piacere prima di tutto a noi stessi, ogni cuoco dovrebbe andare fuori dalla cucina, sedersi a tavola e pensare se realmente mangerebbe ciò che ha cucinato).

CampoliAllora per la mia amatriciana procedo in questo modo:

scelgo una pancetta e guanciale molto stagionati, voglio sentire i profumi, devono essere di grande qualità, non quei prodotti spesso in commercio sotto sale, flaccidi e talvolta dall’odore poco invitante; ne taglio dei pezzi regolari (un errore che vedo spesso tende a tagliare dei pezzi di ogni misura con il risultato che poi in cottura alcuni bruciano e altri non cuociono). Metto il tutto in un buon tegame o casseruola di alluminio (non uso padelle antiaderenti) con un ottimo olio d’oliva dal fruttato medio (con un aroma complementare, non deve coprire), faccio attenzione a scaldare l’olio con la pancetta e guanciale ad una temperatura leggerissima (il tutto deve “sudare”). L’olio caldo intorno ai 50/60°C scioglie il grasso lentamente, in questo modo l’evaporazione dell’acqua dei salumi è limitata, l’olio e il grasso sciolto non bruciano, raggiungendo il punto di fumo (spesso causa di una cattiva digestione del prodotto) e li faccio cuocere fin quando non diventano quasi croccanti. A questo punto unisco un pizzico di aglio e cipolla tritati e faccio imbiondire, non li aggiungo prima altrimenti nel tempo che la pancetta e guanciale rosolano essi bruciano restituendo un cattivo sapore.

Bagno con un po’ di vino bianco (non uno da cucina comune, ma un grande vino, perché la parte aromatica è una componente importante), lo lascio evaporare fino a quando la pancetta non diventa di nuovo croccante, ma non troppo, altrimenti sarà spiacevole al palato.

Mando in cottura la pasta, senza mettere troppo sale nell’acqua, altrimenti rischia di prendere un sapore dominante ed eccessivo, meno sale significa infatti dare respiro al condimento.

Se in stagione, utilizzo dei pomodori rossi san Marzano, portandoli quasi a zero gradi, li immergo in acqua bollente e sale per dieci secondi, li raffreddo per cinque secondi in acqua e ghiaccio, li scolo, li privo della pelle, provvedo a tagliarli a cubetti e li metto nella padella con il fondo, li regolo con poco sale e li faccio cuocere a fuoco vivo per cinque minuti senza mai girarli. In questo modo l’olio prende il sopravvento sull’acqua del pomodoro, permettendo una cottura a soffritto che dona al condimento una fragranza in più (sembra un dettaglio insignificante ma si tratta di un accorgimento capace di fare la differenza). Faccio attenzione a non tenere troppo la pancetta a contatto con il pomodoro, altrimenti perde in croccantezza, una caratteristica importante per un buon risultato. Il pecorino lo scelgo mezzano, è una mia preferenza, mi piace il sapore fresco dal latte, poi ritengo che leggermente più umido impieghi meno tempo a reidratarsi in padella. Ora scolo bene la pasta, la ripasso in padella non eccessivamente, lasciandola morbida, la cospargo di pecorino, spengo il fornello, copro e lascio riposare: così facendo la temperatura della pasta scende evitando la coagulazione del formaggio sul fondo. Prima di servirla un pizzico di peperoncino, una saltata e la magia è pronta in tavola: un’amatriciana morbida, profumata, digeribile e gustosa. Ah, dimenticavo prima di mangiarla… un’altra spolverata di pecorino, et voilà!

FABIO CAMPOLI

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