I grandi classici della moderna cucina italiana

Qualche tempo fa una nota trasmissione televisiva condotta da un autorevole giornalista gourmet divideva il pubblico con la proposta – avanzata da alcuni chef – di “brevettare” i piatti d’invenzione assimilando di fatto una ricetta ad un’opera d’ingegno protetta dal diritto d’autore. Gli intervenuti disquisivano sull’opportunità di far pagare una sorta di royalty a chi copia un piatto (composto al 60% dalla qualità, al 30% dalla tecnica e solo al 10% dalla creatività, almeno secondo i partecipanti), pur considerando la natura stessa di un lavoro tecnico, “di ricerca” e quindi soggetto a leggi più prossime alla morale etica che alla giurisdizione. Una questione insolita, mai affrontata finora in cucina, per definizione uno dei luoghi più “liberi” e aperti, dove l’imitazione costituisce il fondamento stesso della pratica empirica ai fornelli. Pensate ad esempio se sul libro di ricette della nonna, chiuso a chiave nella credenza, vi capitasse di leggere frasi del tipo: “Vietata la riproduzione, anche parziale delle ricette” oppure “Ogni replica dei piatti senza espressa autorizzazione verrà perseguita nei termini di legge”. Oltre all’ovvia difficoltà di intervenire giuridicamente con misure restrittive, si pone insomma il dilemma amletico se la cucina sia un patrimonio comune da cui tutti possono attingere liberamente o una materia da disciplinare rigorosamente come espressione di una forma d’arte mediante il copyright. Lasciando ai lettori l’ardua sentenza, in tema di “marchi di fabbrica” vorremmo invece soffermarci su tutti quei piatti che abbiamo chiamato “miliari” in quanto considerati tappe fondamentali nel moderno percorso dell’evoluzione dei gusti. Si tratta in altre parole di ricette che hanno lasciato il segno creando vincenti (spesso anticonvenzionali) combinazioni di sapori nei piatti, diventati in seguito – grazie alla forza della novità e al successo di critica e di pubblico – dei grandi classici. La genialità fa rima con semplicità: tutti i piatti hanno infatti in comune questo tratto distintivo, perché la loro scoperta è avvenuta per mano di chi ha saputo vedere e sentire quel particolare accostamento che ognuno di noi aveva davanti agli occhi e al naso, ma che non era riuscito mai a realizzare prima in modo compiuto. Qualche esempio? La famosissima passatina di ceci e gamberi di Fulvio Pierangelini, il raviolo aperto o gli spaghetti freddi al caviale di Gualtiero Marchesi, la patata farcita di ostriche e lenticchie di Alfonso Iaccarino, lo zuccotto con verdure candite di Annie Feolde, il piedino di maiale con verza di Nadia Santini, gli spaghetti “d’uovo” di Carlo Cracco … tutti piatti “firmati” in cui l’autore ha lasciato il proprio inconfondibile sigillo creativo. Alcune di queste ricette sono così fortunate da fare gola e moda, vedi la tartare di tonno di Tatsuya Miyazaki che spopola sulle tavole di tutto il mondo o altri tormentoni gastronomici come il mitico gelato al parmigiano di Ferran Adrià, gli spaghetti di tonno con avocado, radicchio e ginger di Jean Georges o l’Hawaian ginger cake con crema e salsa al caramello dell’eclettica chef californiana Alice Waters.
E a Roma? Nella galleria dei piatti d’autore i posti d’onore spettano senza dubbio al millefoglie sbriciolato di Agata Parisella e ad altri cult quali il semifreddo all’aceto balsamico tradizionale di Modena di Angelo Troiani, il fiore di zucca in pastella su salsa di crostacei e zafferano di Heinz Beck, la pasta con gamberi, fiori di zucca e pecorino inventata da Massimo Riccioli o il tempura di gamberi e fiori di zucca farciti di pesce del ristorante Camponeschi. Se Sabatini rivendica a sé nientemeno che un piatto arcinoto come gli spaghetti alle vongole, le fettuccine Alfredo, anche se un po’ demodé, appartengono sicuramente al ricettario del mitico king of fettuccine, e così l’amatriciana al cubo o i saltimbocca di pesce alla romana sono riconducibili all’estro di Alberto Ciarla, l’amatriciana di mare è un’idea di Quinzi e Gabrieli, il risotto al Castelmagno si identifica con Patrizia Mattei e la pasta con le pannocchie di mare e coniglio nasce dal cappello magico (e dal coraggio) di Fabio Baldassarre. Di Anthony Genovese è l’insalata di astice quasi crudo con ananas e fagottini di riso, Adriano Cavagnini va fiero di un suo classico come i tagliolini con polpa di astice e peperoni mentre Andrea Fusco è in grado di stupire con un piatto ormai leggendario come la creme brulée aromatizzata al sigaro toscano con sorbetto al kiwi, crema al caffè e gelatina di liquirizia. A volte la reinterpretazione di un classico genera un altro classico: è il caso di Filippo La Mantia, la cui specialissima caponata siciliana (senza cipolla ma con un segreto tocco in più) sostituisce egregiamente la ricetta della tradizione.
Fuori Roma non possiamo dimenticare alcuni piatti scolpiti nella storia gastronomica del Lazio, vedi i “poveri” spaghetti alici e pecorino, inventati dalle necessità dei pescatori di Anzio, ma fatti propri da Alceste al Buongusto, i crostini alla provatura di pane al nero di seppia del ristorante Cacciani, i ravioli di pecorino e trippa alla romana o il diplomatico crema e cioccolato con caramello al sale grosso di Antonello Colonna e ultimo ma non certo in ordine di importanza la cipolla fondente di Salvatore Tassa, piatto geniale nella sua essenzialità, assolutamente irripetibile.

di Federico Schiaffino
(pubblicato su Aroma di gennaio/febbraio 2007)