Per chi ha soldi e fama da spendere aprire un ristorante è sempre una tentazione. Forse perché dà alle star “un posto dove ciondolare, dove andare in qualsiasi momento con gli amici” così la vede David Blum, autore del libro “Flash in the Pan” – cronaca del collasso di “Falls”, il pub a Soho gestito da Matt Dillon.

Ciò che forse c’è dietro a questo amore per la cucina è la voglia di avere, in un mondo rutilante come quello dello showbiz, un ritrovo per la propria cerchia di amici, un luogo dove rifugiarsi da flash e schiamazzi: un focolare, al centro del quale c’è il cibo. Insomma, qualcosa di antico e di familiare, un intento sano e genuino. A Roma come a Los Angeles. Tutto ebbe inizio dalla Planet Hollywood, catena di ristoranti a tema ispirata al mondo del cinema, lanciata a New York il 22 ottobre 1991 da Robert Earl, ex presidente dell’Hard Rock Cafe, con il sostegno delle stelle di Hollywood Sylvester Stallone, Bruce Willis, Demi Moore e, in passato Arnold Schwarzenegger, che poi vendette la sua parte.

Ma qualcosa andò storto, prima la causa per plagio (persa) con la catena Hard Rock Cafè, poi la bancarotta: oggi solo Parigi, Tokyo e Londra hanno un Planet Hollywood. La notorietà non basta a garantire la vita di un ristorante: lo sa bene Jennifer Lopez, costretta a chiudere il suo “Madre’s”, ristorante cubano nel distretto di South Lake a Pasadena, in California, dopo solo sei anni di attività a causa, pare, della pessima gestione familiare.

Stessa sorte per “Bambu”, a Miami, il ristorante di Cameron Diaz, chiuso l’anno scorso, dopo soli due anni dall’apertura, in seguito ad una ispezione nelle cucine dell’ufficio d’igiene. Sempre a Miami resistono “Larios on the beach” di Gloria Estefan e “Casa Salsa” di Ricky Martin.

Ma qual è la “ricetta” giusta? Per Robert De Niro, “il cast” è importante per i film come per i ristoranti. Senza gli attori e il regista giusti, l’impresa fallisce… Cosa fa, allora, di Nobu la catena di ristoranti giapponesi di maggior successo a livello mondiale, autentico tempio della cucina orientale a Manhattan? Uno chef, una star, appunto, e dell’ottima cucina: da Los Angeles a New York, da Londra a Milano, al Giappone, alle Bahamas e a Hong Kong, questa la ricetta riuscita di De Niro. Nella Grande Mela Nobu sorge su una ex fabbrica dismessa di siderurgia, con ancora le colonne a mattone vivo tipiche delle costruzioni degli anni Venti, uno schizzo del compianto papà (delle tracce di pennello su una tela) è diventato il logo del ristorante, riprodotto nelle cartoline ricordo che vanno a ruba. A pochi passi una panetteria, acquistata dall’attore e gestita da persone di fiducia, una di quelle botteghe dove andava da ragazzino e che ha voluto salvare dalla chiusura.

E a casa nostra?

Sono due i ristoranti degli attori di “Distretto di Polizia” Ricky Memphis e Simone Corrente insieme a Tony Leone. Si chiamano «Né arte né parte»: il primo a Testaccio, dall’ambiente caldo e accogliente, arredato nello stile classico dell’antica trattoria romana, propone una cucina il cui asse portante è la fedeltà assoluta alla grande tradizione capitolina: dalla gricia alla carbonara, abbacchio alla scottadito, pajata, trippa, saltimbocca; il secondo, in via Faà di Bruno in Prati, è specializzato in cucina di mare.

”Abbiamo aperto due locali – racconta Ricky Memphis – perché ci piace mangiare bene. E la soddisfazione è diventata doppia da quando oltre alla cucina romana di Testaccio abbiamo potuto proporre tante ricette a base di pesce in Prati”.

Nancy Brilli e altre tre amiche gestiscono, invece, Beef, con lo chef Eduardo Catalano alla guida dei fornelli. Il ristorante sorge dove un tempo c’era “Al 56”, club molto frequentato da personaggi del mondo del cinema negli anni Settanta e ora diventato un vero tempio della carne. La scelta è fra vari tagli: la costata argentina, la fiorentina italiana, quella danese, per gli amanti di un gusto più deciso, e irlandese, dal gusto leggero. Il locale, in una tranquilla traversa nel quartiere Parioli-Salario, ha uno stile minimalista, giocato sui toni del bianco e il nero, con luci basse sui tavoli, e grandi quadri della collezione privata di Nancy Brilli ad adornare le pareti. Un’attenzione particolare è dedicata alla cantina, con una scelta di oltre 100 etichette dal Trentino alla Sicilia. Curiosità: eleganti contenitori per doggy bag e wine bag sono a disposizione per portare a casa un osso per il cane o la bottiglia non terminata.

“Il mio sogno? Diventare un ristoratore e ritirarmi”. Questo il desiderio di Marco Baldini che può ora soddisfare la sua passione per la cucina romanesca grazie a Sottarponte.. osteria in ammollo”, il ristorante sul Tevere in società con Paola e Fulvio (dell’osteria Edmondo in Prati) all’altezza del Ponte Duca d’Aosta (dal lato dello Stadio Olimpico). Per chi ama la cucina romanesca non c’è che l’imbarazzo della scelta, con piatti tipici come la trippa al sugo, cucinata da Paola come quella che si fa ancora in casa.

In pieno centro, nei pressi del Ghetto, c’è invece un locale storico (ex Angelino), dove si possono gustare piatti tradizionali reinterpretati con fantasia e brio. La Taverna degli Amici a Piazza Margana è il posto giusto per gustare ottime pietanze in compagnia di volti celebri, uno dei soci proprietari è infatti l’attore e regista Jerry Calà. Tra i piatti proposti si segnalano le polpette di melanzane e i paccheri con fiori di zucca e gamberi. La carta dei vini è particolarmente fornita, con più di 150 etichette italiane, tutte ben selezionate. A conferma della sua passione per l’arte gastronomica, Jerry da qualche anno è socio anche del ristorante I Tre Camini di Costermano in provincia di Verona, locale gettonatissimo dagli abitanti del luogo e dai turisti gastronomici.

L’ultimo in ordine di entrata è il ristorante giapponese/malese Chikutei (fiori di bambù) inaugurato da Nathalie Caldonazzo e Anna Chang in via Luciani ai Parioli. Il locale ha preso il posto del “Bella Blu”, ed ha un sofisticato arredamento in stile orientale-minimalista.

“L’idea di lavorare con Anna è venuta quasi naturalmente – racconta Nathalie – siamo amiche da vent’anni ed ho sempre pensato a lei come una bravissima manager della ristorazione. Così abbiamo trovato il posto, e deciso di fare però una cucina particolare, che propone raffinati piatti della tradizione giapponese e malese”.

Infine un doveroso omaggio all’ex della “Banda Arbore” Andy Luotto, che da un paio d’anni esprime la sua abilità culinaria al “D’Angeli” di Sutri dove questa volta è di scena una cucina tradizionale, fondata sulla ricerca della grande materia prima, dalle Alpi all’Etna. Assaggiare per credere il pancotto ai funghi porcini o lo spiedino piccante di maiale a confermare la serietà degli intenti di un comico che quando si parla di cucina, vi assicuriamo, non scherza affatto…

di Francesca Pizzuti
(pubblicato su Aroma di maggio/giugno 2009)