Si fa presto a dire sale! I colori che lo rappresentano sono moltissimi, dal più classico bianco al nero pece, per non parlare delle innumerevoli varietà di forme, consistenze e sapori. Tutto un mondo gira intorno a questo prezioso cristallo e sempre più l’alta cucina ricerca nuovi abbinamenti e sperimenta soluzioni, senza mai dimenticare la prima regola da seguire in ogni piatto: il “punto di sale”. Nella preparazione di una ricetta il sale deve esser presente, ma non si deve vedere. Quando è nella giusta quantità, infatti, esalta le materie prime e smorza l’eventuale eccessiva grassezza o dolcezza.

Ingrediente quindi essenziale, nell’evoluzione dell’arte culinaria ha sempre ricoperto un ruolo da protagonista. La storia dell’uomo dimostra come il bisogno di sale fosse presente in ogni ambito e forma: conservare, raffreddare e, perché no, barattare. Basti pensare che, nelle zone dove il sale scarseggiava, questo veniva scambiato con l’equivalente del suo peso in oro. I Fenici furono i primi a comprendere quali opportunità offrisse il litorale basso ed il clima della costa occidentale siciliana per l’impianto delle saline, ed ancora oggi la provincia trapanese conserva questo primato storico e patrimoniale. Così in Italia, nelle Americhe e nel resto del mondo i maggiori centri di civilizzazione urbanistica sorsero in luoghi che avevano accesso diretto al sale: un modello diffusosi fin dal 1100.

E’ proprio grazie alla commercializzazione di sale su grandi distanze che si avviò un sistema coloniale con conseguente sviluppo di nuove vie di comunicazione. Il valore del sale aumentò a dismisura perché ci si rese conto di come fosse un ottimo conservante, soprattutto per i cibi che venivano trasportati in nave. I paesi del Nord Europa, non avendone a disposizione grossi quantitativi, si avviarono verso zone ricche d’oro bianco per tornare carichi di derrate alimentari. Si iniziarono a conservare merluzzi e aringhe sotto sale, ma già molto tempo prima il garum romano si produceva facendo fermentare piccoli pesci, con testa e interiora, insieme a erbe aromatiche e sale. Il liquido che si depositava nel fondo del recipiente era raccolto e filtrato.

Anche nel Paese del Sol Levante si diffuse fin da tempi antichissimi una salsa salata a base di pesce, in Vietnam conosciuta come “nuoc mam”. Salse di questo tipo sono forse antenate della salsa di soia, spesso alter ego del sale per gran parte della cucina orientale. In Occidente veri esperti nelle tecniche di conservazione furono i Celti, grandi misconosciuti della storia tradizionale ma recentemente tornati alla ribalta. La stessa radice indoeuropea si ritrova anche nell’espressione greca per il sale, hal, e nella parola gallus, che i romani utilizzarono per indicarli. La connessione fra i Celti e il sale è dunque evidente.

I Romani apprenderanno proprio da loro l’abitudine di salare la cacciagione, compresi i cinghiali e i maiali selvatici di cui l’Europa centrale, zona celtica di elezione, era ricca. Non è un caso che una delle grandi produzioni di derivati del maiale, in particolare prosciutto e culatello, sia incentrata su Parma, zona d’insediamento celtico vicino a delle pozze di acqua salmastra, Salsomaggiore appunto. Diffusi dalla Francia orientale fino ai Carpazi, si trovarono a vivere proprio in aree tuttora ricche di sale: basti pensare a Hallstat o a Hallein, vicino Salisburgo (città del sale, come dice il nome). Col tempo l’aumento del consumo di sale crebbe fino ad arrivare, ai giorni nostri, agli impieghi più svariati, comprendendo l’uso delle industrie farmaceutiche. Sale non significa soltanto cloruro di sodio, ma assume vari significati: potenza purificatrice, gettato nel focolare per cacciare i demoni o dietro le spalle quando viene rovesciato, o addirittura segno dell’alleanza con il Dio dell’Antico Testamento (sale come elemento simbolico della cena del Sabato e in particolare per la Pasqua: “Voi siete il sale della terra …”).
Sono innumerevoli gli esempi dell’importanza del sale nella cultura religiosa e popolare.

E’ risaputo, infatti, che il sale abbia sempre svolto un ruolo fondamentale nell’alimentazione dell’uomo. Prima di tutto, dal punto di vista fisiologico, è necessario ad evitare disidratazione, mantenendo l’equilibrio dei liquidi nel corpo. Lo sapevano i proprietari delle piantagioni caraibiche dove si produceva lo zucchero: per questo fecero del baccalà uno degli ingredienti principali nella dieta dei loro schiavi, per mantenerli efficienti sotto il sole e rimediare alla copiosa perdita di liquidi. Oggi guai a parlare semplicemente di sale! C’è quello nero di Cipro, che ha un sapore meno intenso del sale comune e anche del sel de Guérande grigio francese, i fiocchi sono friabili e leggeri, tanto che viene voglia di morderli per sentire, oltre al sapore inconfondibile, anche una certa sensazione di croccantezza. C’è, inoltre, quello particolarissimo rosa dell’Himalaya, che è un sale marino fossile formatosi nell’era secondaria più di 200 milioni di anni fa.

Il sale “dolce” di Cervia, chiamato così per la purezza del cloruro di sodio e la minore presenza dei cloruri più amari, è particolarmente adatto in gastronomia e nella produzione di salumi e formaggi. È un sale marino integrale non essiccato artificialmente. Il sale rosa del Murray River (Australia) è un sale ricavato dalle acque saline di un bacino sotterraneo del fiume Murray, che dopo aver riposato per migliaia di anni, fa venir fuori questi fiocchi di sale quasi impalpabili e assolutamente puri, senza alcuna traccia di sostanze chimiche inquinanti. I piccoli fiocchi di un tenue color albicocca hanno un gusto delicato e sono consigliati per tutti gli arrosti e i piatti che richiedono una cottura al forno, e per il suo colore caratteristico viene anche utilizzato dai cuochi per guarnire piatti di alta cucina.

Heinz Beck ad esempio ama valorizzare nelle sue ricette la purezza del sale con i cestini di sale colorati con tartare di pesce all’interno, o con il piccione cotto al sale. In parallelo Moreno Cedroni, eclettico chef e imprenditore di Senigallia che propone mousse al cioccolato con olio extra vergine e sale balinese, o il long drink al lime, zenzero, saké e sale nero di Cipro, mentre Antonello Colonna lo utilizza in un dessert ormai classico come il diplomatico crema e cioccolato con caramello al sale, tanto per citare alcune suggestive creazioni. Ma non occorre essere un “mostro” culinario per capire l’importanza dell’oro bianco in cucina, da sempre sinonimo di sapore, non solo nel piatto, ma ingrediente fondamentale e metafora del gusto del vivere.

(pubblicato su Aroma di luglio/agosto 2008)