I giapponesi hanno il sushi, gli americani divorano hamburger e hot dog, gli spagnoli solleticano il palato con le tapas, mentre i francesi si sfiziano con terrine e quiche… E i romani? All’ombra der Cupolone, niente di meglio che saziare gli appetiti di mezza giornata con un boccone di street food – parola un po’ slang per il tema in questione ma che calza bene l’idea – a base di supplì, forse la ghiottoneria più romana tra i cibi da strada.

Piace a tutti, il supplì al telefono, secondo un’espressione popolare sicuramente efficace, in quanto visuale ed evocativa: al generone, al coatto alla Verdone, al fighetto pariolino e persino al turista straniero che, una volta provato, rimpiangerà a casa quel sottile effetto filante di mozzarella (ecco il telefono) che porta dritto al cuore di sugoso ragù e pomodoro, ricoperto da una crosta croccante, da mangiare caldo (mai tiepido o freddo, eresia!), lentamente, con indescrivibile diletto del palato e dello spirito. Già, perchè c’è chi ne canta le lodi consigliandone il consumo massiccio come terapia antidepressiva, contro il logorio della vita moderna (pure il carciofo ha piena cittadinanza romana ma non ha gli stessi risultati benefici sul buonumore).

Attenzione, però! Non si tratta di arancini – quella è un’altra storia, dall’accento siciliano semmai – nei casi migliori il supplì è soffice, con la crosta consistente, ricco di pomodoro e il proverbiale filo di mozzarella alla fine, da gustare in modo quasi peccaminoso, come si azzanna un frutto proibito (almeno per l’apporto calorico, che vola alto).

(pubblicato su Aroma di maggio/giugno 2010)